Il Quarto Reich tedesco sta facendo una cosa mostruosa.
I Merkeliani stanno tirando troppo la corda. Arriverà presto il crollo. Ma finché converrà loro, non molleranno l’euro.
L’euro è un frutto avvelenato. Creato per deindustrializzare i PES (Paesi dell’europa del Sud).
Finalmente, dopo anni di falsità propagandistiche come, «Con l’euro lavoreremo un giorno di meno guadagnando come se lavorassimo un giorno di più» oppure «L’euro è irreversibile», anche gli economisti di scuola liberista iniziano a rendersi conto che l’euro è una palla al piede per l’Italia. Anzi, una bomba atomica che sta per deflagrare…
L’euro come lo conosciamo oggi potrebbe non esserci più tra qualche mese o al massimo entro un paio d’anni. Non perché decideremo di uscirne noi italiani, sempre più indebitati e ancora alla ricerca di un sentiero di crescita sostenibile e duratura. Ma perché l’euro – così com’è oggi – non sarà più ritenuto sostenibile in Germania, cioè nel paese in cui tutto è sembrato girare finora per il verso giusto, anche grazie alla moneta unica. Sarà Berlino ad abbandonare questo euro, per ragioni politiche prim’ancora che economiche, trascinando con sé un manipolo di paesi nordici consenzienti. L’Italia, più che tornare alla lira o a un’altra valuta nazionale, farà parte di una sorta di “euro 2”, assieme ad altri paesi cosiddetti “periferici”, forse perfino la Francia. E non sarà necessariamente un dramma. […]
“Nella situazione attuale, un’uscita della Germania dall’euro sarebbe almeno in astratto la soluzione migliore”, dice al Foglio Luigi Zingales, economista dell’Università di Chicago che ne ha anche scritto nel suo ultimo libro, “Europa o no” (Rizzoli). “Un’uscita dall’euro che avvenisse ‘dall’alto’ – dice Zingales – sarebbe innanzitutto molto più gestibile rispetto a un’uscita di un paese come l’Italia. Perché è più facile tenere la gente fuori che tenerla dentro”. Si spieghi. “L’euro dei paesi nordici, che io chiamo ‘neuro’ – dice Zingales con un filo di ironia – sarebbe destinato a rivalutarsi rispetto a un euro del Club med. Di conseguenza, i cittadini tedeschi non avrebbero nessuna ragione di fuggire dai propri istituti di credito, come invece farebbero i correntisti italiani nel caso di un ritorno alla lira che sarebbe per forza di cose svalutata massicciamente e che potrebbe indurre una crisi bancaria generalizzata, con annesse prospettive di default. Ci sarebbe piuttosto una corsa di tutti gli altri europei a depositare i soldi nelle banche tedesche per beneficiare della rivalutazione che i depositi subirebbero dopo la separazione. Il governo tedesco, avendo tutto l’interesse a limitare questo processo di ‘marchizzazione’, o trasformazione in marchi, dei depositi, si attrezzerebbe per limitare l’afflusso. Alla fine italiani e spagnoli se ne farebbero una ragione”. Con il debito pubblico monstre dell’Italia si rischierebbe però l’apocalisse: “Nient’affatto. Non ci sarebbe automaticamente un default. L’euro-sud, o euro 2, si svaluterebbe certo rispetto al dollaro e anche rispetto al ‘neuro’. Ma questo ci consentirebbe almeno in un primo momento di tornare più competitivi, senza passare per un lungo processo deflattivo come quello che si annuncia”. […]Perfino a Berlino potrebbe convenire una seperazione consensuale e ordinata, piuttosto che il colpo di testa (obbligato) di un solo grande paese, sostiene Domenico Lombardi, responsabile del programma economico del think tank canadese Cigi: “Rispetto allo scenario anarchico e incontrollabile creato dalla svalutazione unilaterale delle economie più deboli, in questo scenario la Germania cercherebbe di conservare il minimo di disciplina richiesto per il funzionamento del mercato unico, agevolando l’aggregazione delle economie ‘meno veloci’ in una nuova sotto-area monetaria. Rispetto a quest’ultima, cercherebbe comnque di imporre una sua disciplina, pur meno stringente, perché essa potrebbe svalutare ma in modo coordinato con la nuova area del marco”.(…) In via teorica, dunque, l’abbandono della Germania “sarebbe una soluzione utile per una ragione di fondo”, dice Antonio Pilati, consigliere della Rai e osservatore di scenari geopolitici, autore del libro “Europa, sovranità dimezzata” (Ibl Libri): “Oggi la moneta unica comprende economie troppo differenziate tra loro, e oltre un decennio di disciplina comune non ha fatto che accrescere queste differenze. Avere due aree valutarie invece che una porterebbe a una razionalizzazione del sistema con due aree più omogenee al loro interno”. (“Il Foglio”, articolo Due euro is meglio che one)
Persino Mario Deaglio marito di quella Fornero che, nell’ambito del gabinetto Monti, si è resa corresponsabile della mazzata fiscale-economico-sociale che ha travolto la domanda interna italiana, ha dovuto ammettere che l’Italia è ormai una Nazione in cui è stato distrutto il tessuto industriale e senza vere prospettive future, “in Italia c’è una deindustrializzazione di fatto”.
La stessa Elsa Fornero ha stigmatizzato, a posteriori, il comportamento di Mario Monti: “Dovevo stare zitta mentre Monti faceva campagna elettorale”
Un altro economista che si sveglia di soprassalto è Stefano Fassina, fino a pochi mesi fa viceministro nel Governo del bilderberger Enrico Letta:
Purtroppo, i primi due decreti attuativi della Delega Lavoro confermano l’obiettivo vero dell’intervento: ulteriore svalutazione del lavoro, data l’impossibilità di svalutare la moneta, per puntare illusoriamente a crescere via export. Insomma, un’altra tappa del mercantilismo liberista raccomandato dalla Troika. Vediamo perché. Entriamo nel merito. Il provvedimento nasce all’insegna del contrasto alla precarietà. Ma è evidente che i precari sono tirati in campo strumentalmente per colpire chi nell’universo del lavoro non è ancora così arretrato e resiste alla riduzione delle retribuzioni e all’inasprimento delle condizioni di lavoro. Le decine di tipologie di contratti precari rimangono tutte, compresi co.co.co e co.co.pro. La sbandierata estensione degli ammortizzatori sociali alla platea degli esclusi non c’è. Non ci poteva essere, dato che la Legge di Stabilità non ha individuato risorse aggiuntive. Quindi, inevitabilmente, si ripropongono le norme della Legge Fornero con qualche ritocco al margine.
La deflazione salariale fu l’escamotage principale del massone Herbert Hoover per provocare l’arretramento dell’economia americana dal 1929 in poi. Non è un caso se la Montinomics ha ricalcato l’Hooveromics: aumento stratosferico della tassazione sulla casa, precarizzazione del rapporto di lavoro, obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione, disfacimento dello Stato sociale, deflazione di salari e pensioni. Risultato: distruzione della domanda interna
Brevemente, le riforme strutturali richieste a gran voce da Germania ed Eurocrazia a’ danni dei PES sono le stesse che hanno provocato la Grande Depressione.
La Grande Depressione, in America, si trascinò oltre dieci anni dopo il ’29. Rileggerla in prospettiva può essere un’importante lezione per noi, oggi. Le più recenti ricostruzioni storiografiche, tra cui quella di Amity Shlaes, aiutano a capire perché ci volle così tanto per uscire da una trappola costruita da buone intenzioni. La colpa fu di una serie di errori: l’incremento eccessivo delle imposte, insieme a una politica monetaria e commerciale decisamente pro-ciclica; l’accento sul lavoro come “bene” offribile, anziché sulle condizioni che ne favorissero la domanda; lo spiazzamento della mano invisibile ad opera di quella visibile, azionata dallo stato. Fu il combinato disposto che scatenò, allora come oggi, un clima d’incertezza che scoraggiò l’intrapresa e provocò un impoverimento generalizzato. Il ruolo giocato dall’inasprimento fiscale fu determinante. A poco più di due anni di distanza dal martedì nero, il Presidente Hoover sollecitò il Congresso ad aumentare tutte le imposte. Il deficit federale si era impennato e si preferì ristabilire immediatamente l’equilibrio di bilancio. S’introdussero nuove aliquote, quasi da economia di guerra. L’imposta che creò più difficoltà a tanti americani fu quella sugli immobili. La deflazione rendeva non solo più arduo pagare il mutuo ma anche trovare i soldi per la tassa sulla casa. L’insolvenza portava in entrambi i casi alla medesima amara conclusione: il pignoramento.”L’autrice, infine, chiosa, “la vera lezione della Grande Depressione, forse, non l’abbiamo ancora imparata. (Michela Tronconi,”La lezione del ’29: stimolare la crescita, non tassare di più”, www.ilsole24ore.com)
Secondo alcuni storici, la Grande Depressione sarebbe stata la causa diretta ed indiretta di un numero di vittime mondiali quasi equivalenti a quelle provocate dalla Prima Guerra Mondiale.
Un post del ricercatore russo Boris Borisov, censurato da Wikipedia, dimostra come l’Hooveromics, che Mario Monti ha ricopiato integralmente in Italia con la sua Montinomics, abbia provocato solo negli Stati Uniti ben 7 milioni di vittime!
La crisi del 1929-1933 subì un brusco arresto negli USA grazie al New Deal di Roosevelt, che applicava politiche economiche di stretta osservanza keynesiana e in Germania con l’avvento di Adolf Hitler che denunciò il debito, rifiutando di pagare ulteriormente rate e interessi. La politica di Hjalmar Schacht, presidente della Reichsbank, grazie all’annullamento del debito, la nazionalizzazione dell’istituto di emissione e l’istituzione dei MEFO Bund come sorta di moneta alternativa dal corso forzoso, sottrasse la Germania, esattamente come avveniva nell’America di Roosevelt, dallo strozzinaggio della Finanza Internazionale.
«I compiti della Banca Tedesca del Reich derivano dalla sua posizione di banca d’emissione del Reich. Essa sola ha il diritto di emettere banconote. Deve inoltre regolamentare le transazioni e le operazioni finanziarie in Germania e all’estero. Deve anche provvedere alla utilizzazione dei mezzi economici disponibili dell’economia tedesca nel modo più appropriato per l’interesse collettivo e politico-economico.»
Esattamente il contrario di quanto realizzato da Beniamino Andreatta e Carlo Azeglio Ciampi (entrambi membri della super-reazionaria e antidemocratica Ur-Lodge “Three Eyes”, cfr. Magaldi-Maragnani “Massoni, Società a responsabilità Illimitata — La scoperta delle Ur-Lodges”, Chiarelettere editore), come si rileva dal seguente articolo, “Della Luna: traditori al potere, stanno demolendo l’Italia” (libreidee.org);
«Vogliono mettere le mani sul nostro patrimonio economico, colonizzando definitivamente la penisola», accusa Della Luna, intervistato da Federico Dal Cortivo. Le principali tappe della rovina, «voluta e finalizzata a dissolvere il tessuto produttivo del paese, desertificandolo industrialmente e assoggettandolo alla gestione via centrali bancarie fuori dai suoi confini, onde farne territorio di conquista per capitali stranieri», cominciano con la progressiva “privatizzazione” della Banca d’Italia, dopo il “divorzio” dal ministero del Tesoro, gestito dal ministro Beaniamino Andreatta e dal futuro presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. Risultato: affidamento ai mercati speculativi del nostro debito pubblico e del finanziamento dello Stato. Da allora, le finanze pubbliche sono entrate nella spirale di crisi completata oggi dall’incubo dell’Eurozona, dove non esiste più un “prestatore di ultima istanza” in grado di finanziare lo Stato a costo zero. Immediato e conseguente, aggiunge Della Luna, il raddoppio del debito pubblico, passato dal 60% a 120% del Pil a causa della moltiplicazione dei tassi. Nasce così la «ricattabilità politica strutturale del paese da parte della finanza privata». A ruota: «La svendita agli amici-complici e ai più ricchi e potenti, stranieri e italiani, delle industrie che facevano capo allo Stato e che erano le più temibili concorrenti per le grandi industrie straniere». Una privatizzazione condotta con modalità molto “riservate” ma col favore di quasi tutto l’arco politico, a cominciare dalla sostanziale cessione della Banca d’Italia per mezzo della privatizzazione delle banche di credito pubblico come la Banca Commerciale Italiana, il Banco di Roma, la Banca Nazionale del Lavoro e il Credito Italiano, con le loro quote di proprietà della Banca d’Italia. Infine, «la riforma Draghi-Prodi che nel 1999 ha autorizzato le banche di credito e risparmio alle scommesse speculative in derivati, usando i soldi dei risparmiatori», dando il via «alle cartolarizzazioni di mutui anche fasulli, come i subprime loans americani». In una situazione globale aggravata dall’apertura delle frontiere alla concorrenza sleale dei paesi che producono schiavizzando i lavoratori e bruciando l’ambiente, aggiunge Della Luna, il colpo del ko è arrivato regolarmente con l’adesione ai tre successivi sistemi monetari – negli anni Settanta, Ottanta e Novanta – che impedivano gli aggiustamenti fisiologici dei cambi tra le valute dei paesi partecipanti, fino al disastro finale dell’euro che «non è una moneta, ma il cambio fisso tra le preesistenti monete». Effetto scontato: immediata perdita di competitività del sistema-Italia, a spese di industrie e capitali nazionali improvvisamente costretti ad accumulare debito nei confronti dei paesi più competitivi, «che quindi accumulano crediti verso i primi, fino a dominarli e commissariarli», esattamente come confermato dalle drammatiche cronache europee. Da ultimo, le misure fiscali del governo Monti-Napolitano hanno depresso i consumi e messo in fuga verso l’estero centinaia di miliardi, svuotando il paese di liquidità. Per Della Luna, il governo Monti-Napolitano sostenuto da Bersani, Casini e Berlusconi «ha distrutto il 25% del valore del patrimonio immobiliare italiano e paralizzato il mercato immobiliare». Risultato: «Imprese e famiglie non possono più usare gli immobili per ottenere credito, e l’economia è rimasta senza liquidità, con insolvenze che schizzano al 30% e oltre». Traditori al governo? «Nego che siano definibili “traditori”: sono piuttosto definibili “nemici”, perché fanno gli interessi stranieri contro quelli nazionali, in modo scoperto», dice Della Luna. «Definisco traditori, invece, i dirigenti dell’ex Pci che sono passati al servizio del capitalismo finanziario sregolatoe collaborano con esso alla costruzione di una società e di un nuovo ordinamento nazionale e mondiale al servizio di esso, tradendo il loro elettorato». E che dire di Draghi e Monti, entrambi provenienti dalla Goldman Sachs? «Per quali interessi lavorino non è un mistero, ma vale anche per Romano Prodi, altra carriera con la Goldman». Quando era advisor della grande banca d’affari «era anche al governo, e nominava proprio la Goldman Sachs advisor del governo per le privatizzazioni». E Napolitano, pedina fondamentale dell’operazione Monti? «Posso dire che si intende di macroeconomia, quindi capiva e capisce ciò che stava e sta avvenendo, e che effetti hanno certe manovre». La verità, aggiunge Della Luna, è che «la partitocrazia italiana, complessivamente, dalla fine degli anni ’70, lavora per rendere il paese territorio di conquista per i capitali stranieri». Cosa che «soprattutto la sinistra» ha fatto e sta facendo «sotto la copertura di due concetti: riformismo ed europeismo». La parola “riformismo” ha avuto, dopo la metà degli anni ‘70, un’inversione di senso: se prima significava riforma della proprietà agraria per por fine allo sfruttamento dei contadini, nonché diritti sindacali, previdenziali e di sciopero per mettere fine allo sfruttamento degli operai da parte dei grandi imprenditori, da trent’anni a questa parte l’approccio “riformista” significa esattamente il contrario, e cioè: perdita di tutte le conquiste acquisite dai lavoratori. Fino a trent’anni fa, le riforme sociali garantivano diritti, contrastavano le sperequazioni di reddito, creavano opportunità per i lavoratori. «Significava consapevolezza del crescente strapotere delle corporations e del capitalismo rispetto ai cittadini, ai lavoratori, agli elettori, ai risparmiatori, ai piccoli proprietari, agli invalidi: uno strapotere che oggi è moltiplicato dalla globalizzazione e dal carattere apolide della grande finanza». Era un riformismo per la solidarietà, l’equa distribuzione delle opportunità e del reddito, l’accessibilità al lavoro e alla proprietà privata. Leggi che davano piena attuazione alla Costituzione democratica: la repubblica “fondata sul lavoro”, la “parità dei cittadini” e l’obbligo di rimuovere gli ostacoli anche economici che di fatto limitano questa parità. Poi gli articoli sulla tutela del lavoro e il divieto per l’iniziativa economica di ostacolare l’interesse sociale o la sicurezza e la dignità umana, stabilendo che la legge possa indirizzarla a fini collettivi. E ancora: la funzione sociale della proprietà, che prevede anche l’esproprio nel pubblico interesse, fino alla tutela del risparmio, «e non le maxi-frodi ai danni dei risparmiatori e i bonus e le cariche pubbliche in favore di chi le ordisce». Il contrordine è arrivato sul finire degli anni ’70, pienamente eseguito dai partiti che si dichiaravano riformisti, e lo erano stati realmente. Obiettivo: demolizione sistematica di conquiste e diritti, al fine dichiarato di togliere ogni limitazione alla possibilità di azione e profitto del capitale finanziario, della proprietà privata, della privatizzazione di beni e compiti pubblici, col falso presupposto che questo produrrebbe più ricchezza, più equità, più produzione, più occupazione, più libertà, più stabilità e una allocazione più razionale delle risorse. «Con i risultati che vediamo: crescente estrazione della ricchezza prodotta dalla società da parte di cartelli e oligopoli multinazionali». E’ la linea della famigerata scuola economica di Chicago, del “Washington Consensus”, della Cia, della Thatcher e di Reagan, ma anche dell’europeismo che abbiamo conosciuto. «Ma nonostante questi risultati, i vari Monti, Draghi, Rehn e Merkel non fanno che ripetere che bisogna continuare sulla via delle riforme, altrimenti non c’è speranza: e se qualcosa non funziona, è appunto perché le riforme non sono state abbastanza risolute e complete».
In realtà, aggiunge Della Luna, personaggi come la Merkel non sono così ottusi da non capire che il loro modello è radicalmente sbagliato e devastatore, ma sanno che – se rappresenta la rovina di paesi come l’Italia – può avvantaggiare paesi come la Germania, perché spinge capitali, imprese e lavoratori qualificati a trasferirsi nei paesi più forti, depauperando i più deboli ed eliminandoli come concorrenti. Costituzione italiana alla mano, dice Della Luna, si scopre che gli atti fondamentali della politica italiana ed europea degli ultimi decenni sono tutti, integralmente illegali, perché incostituzionali. Tutto quanto: moneta unica, finanza, lavoro, Bankitalia, Maastricht, globalizzazione, privatizzazioni, liberalizzazioni, cartolarizzazioni, finanziarizzazione dell’economia. «E’ tutto costituzionalmente illegittimo, perché va esattamente, intenzionalmente e organicamente contro quelle norme costituzionali e contro lo stesso impianto sociale e valoriale e teleologico della Costituzione, che è appunto teso all’esclusione dell’attività imprenditoriale contraria all’interesse della società e alla realizzazione di una parità anche sostanziale dei cittadini, in un quadro di solidarietà e di sicurezza in fatto di lavoro, reddito, servizi, pensioni». Come siamo ridotti oggi è evidente: siamo in balia di un «casinò speculativo», che in pratica comanda il paese da piattaforme finanziarie estere attraverso il potere del rating e della manipolazione dei mercati, decidendo irresponsabilmente e insindacabilmente come si debba vivere, morire e governare. «E’ un disegno eversivo della Costituzione», totalmente illecito. E ad esso «hanno collaborato attivamente quasi tutti i “rappresentanti” del popolo, soprattutto la sinistra parlamentare: senza farlo capire al popolo, ovviamente». Ed è proprio qui, insiste Della Luna, che sta «il conflitto di interessi vero: l’incompatibilità assoluta con le cariche pubbliche», laddove politici e partiti sono stati completamente infiltrati dalla finanza, o sono addirittura operatori di primo piano del grande capitale finanziario. Quindi: «I veri e primi incandidabili, ineleggibili e portatori di conflitto di interessi sono proprio i leader della sinistra, assieme a Monti e Draghi: tra i vivi, Prodi, Bersani, Amato». Nessuna “luce in fondo al tunnel”, purtroppo: «L’Italia è vicina alla fine, lo ha detto anche Squinzi il 24 marzo parlando al premier incaricato Bersani. Gli indici sono tutti al peggio, e vengono frequentemente corretti al peggioramento. Non vi è outlook di ripresa. Le migliori risorse del paese – capitali, imprenditori, cervelli – se ne sono andate o se ne stanno andando. Chi dice che l’Italia stia riprendendosi, o è pazzo o mente». Secondo la tesi ideologica adottata dalle istituzioni monetarie e dall’Unione Europea, oltre che da quasi tutta la politica che si candida a governare, devota alla teologia del pensiero unico, il libero mercato realizzerebbe “spontaneamente” l’ottimale impiego delle risorse e l’ottimale distribuzione dei redditi. E inoltre preverrebbe o riassorbirebbe le crisi “automaticamente”, con un prodigioso colpo di bacchetta magica. «I fatti hanno clamorosamente smentito questa tesi». In realtà non esiste nessun “libero mercato” non esiste, perché «per essere libero un mercato dovrebbe essere trasparente, cioè con operatori visibili». I mercati sono invece «dominati, cioè manipolati, da cartelli di soggetti che approfittano di enormi asimmetrie informative, anche in fatto di tecnologie, che si mantengono opachi: anche Fmi, Bce, Ue, Tesoro Usa, hedge funds, grandi banche»
Ricordiamo che,
Carlo Azeglio Ciampi e Beniamino Andreatta furono individuati come i principali interlocutori italiani nell’ambito del comitato sovranazionale che doveva monitorare l’attuazione worldwide del patto Massoni uniti per la globalizzazione.
Anzi, nell’estate del 1981, proprio a questi due capifila della nuova classe dirigente massonica italiana postpiduista fu affidato il compito di fissare una pietra miliare sulla traiettoria che avrebbe condotto – anche sul versante peninsulare – a un certo tipo di costruzione europea. Si trattava di separare il potere economico-finanziario da qualsivoglia controllo delle istituzioni politiche, democraticamente legittimate in quanto tali. Un progetto che, se portato a buon fine – con l’alibi di limitare l’eccesso di spesa pubblica a opera di politicanti presuntivamente demagogici e scialacquatori –, avrebbe consegnato alla finanza un ruolo sovraordinato rispetto alla politica e alla sovranità popolare, sovvertendo il senso stesso delle istituzioni democratiche. Anche in questo caso, i massoni progressisti si fecero manipolare e convincere a non opporsi, ritenendo di poter recuperare in seguito influenza e capacità di intervento, e però persuasi dell’inutilità di contestare singole iniziative di cui non compresero le importanti e gravi conseguenze.
Ma vediamo, con l’ausilio di un testimone profano dei fatti dell’epoca, il senso dell’operazione compiuta dai massoni Ciampi e Andreatta: «Il primo colpo storico contro l’Italia lo mette a segno Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato dall’allora ministro Beniamino Andreatta, maestro di Enrico Letta e «nonno» della Grande privatizzazione che ha smantellato l’industria statale italiana, temutissima da Germania e Francia. È il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese. Il secondo colpo, quello del ko, arriva otto anni dopo, quando crolla il Muro di Berlino. La Germania si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro concorrente più pericoloso: noi. A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della «casta» corrotta della Prima repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa «tedesca», naturalmente all’insaputa degli italiani. È la drammatica ricostruzione che Nino Galloni, già docente universitario, manager pubblico e alto dirigente di Stato, fornisce a Claudio Messora per il blog «Byoblu». All’epoca, nel fatidico 1989, Galloni era consulente del governo su invito dell’eterno Giulio Andreotti, il primo statista europeo che ebbe la prontezza di affermare di temere la riunificazione tedesca. Non era «provincialismo storico»: Andreotti era al corrente del piano contro l’Italia e tentò di opporvisi, fin che poté. Poi a Roma arrivò una telefonata del cancelliere Helmut Kohl che si lamentò col ministro Guido Carli: qualcuno «remava contro» il piano francotedesco. Galloni si era appena scontrato con Mario Monti alla Bocconi e il suo gruppo aveva ricevuto pressioni da Bankitalia, dalla Fondazione Agnelli e da Confindustria. La telefonata di Kohl fu decisiva per indurre il governo a metterlo fuori gioco. «Ottenni dal ministro la verità» racconta l’ex superconsulente, ridottosi a comunicare con l’aiuto di pezzi di carta perché il ministro «temeva ci fossero dei microfoni». Sul «pizzino», scrisse la domanda decisiva: «Ci sono state pressioni anche dalla Germania sul ministro Carli perché io smetta di fare quello che stiamo facendo?». Eccome: «Lui mi fece di sì con la testa». Questa, riassume Galloni, è l’origine della «inspiegabile» tragedia nazionale nella quale stiamo sprofondando. I superpoteri egemonici stratega del boom industriale italiano grazie alla leva energetica propiziata dalla sua politica filoaraba, in competizione con le «Sette sorelle». E il secondo è l’eliminazione di Aldo Moro, l’uomo del compromesso storico col Pci di Berlinguer, assassinato dalle «seconde Br»: non più l’organizzazione eversiva fondata da Renato Curcio, ma le Br di Mario Moretti, «fortemente collegate con i servizi, con deviazioni dei servizi, con i servizi americani e israeliani». Il leader della Dc era nel mirino di killer molto più potenti dei neobrigatisti: «Kissinger gliel’aveva giurata, aveva minacciato Moro di morte poco tempo prima» […] Alla fine degli anni Ottanta, la vera partita dietro le quinte è la liquidazione definitiva dell’Italia come competitor strategico: Ciampi, Andreatta e De Mita, secondo Galloni, lavorano per cedere la sovranità nazionale pur di sottrarre potere alla classe politica più corrotta d’Europa. Col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il paese è in crisi finanziaria: prima, infatti, era la Banca d’Italia a fare da «prestatrice di ultima istanza» comprando titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento pubblico. Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipita: con l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi «investitori» privati) il debito pubblico esploderà fino a superare il Pil. Non è un «problema», ma esattamente l’obiettivo voluto: mettere in crisi lo Stato, disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione. Degli investimenti pubblici da colpire, «la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale». Al piano antitaliano partecipa anche la grande industria privata, a partire dalla Fiat, che di colpo smette di investire nella produzione e preferisce comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquista più, i tassi sono saliti e la finanza pubblica si trasforma in un ghiottissimo business privato.L’industria passa in secondo piano e – da lì in poi – dovrà costare il meno possibile. «In quegli anni la Confindustria era solo presa dall’idea di introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti, che poi avrebbero prodotto la precarizzazione.» […] A soffrire è l’intero sistema-Italia, da quando – nel lontano 1981 – la finanza pubblica è stata «disabilitata» col divorzio tra Tesoro e Bankitalia. Un percorso suicida, completato in modo disastroso dalla tragedia finale dell’ingresso nell’eurozona, che toglie allo Stato la moneta ma anche il potere sovrano della spesa pubblica, attraverso dispositivi come il Fiscal compact e il pareggio di bilancio. Per l’Europa «lacrime e sangue», il risanamento dei conti pubblici viene prima dello sviluppo. «Questa strada si sa che è impossibile, perché tu non puoi fare il pareggio di bilancio o perseguire obiettivi ancora più ambiziosi se non c’è la ripresa.» E in piena recessione, ridurre la spesa pubblica significa solo arrivare alla depressione irreversibile. Vie d’uscita? Archiviare subito gli specialisti del disastro – da Angela Merkel a Mario Monti – ribaltando la politica europea: bisogna tornare alla sovranità monetaria, dice Galloni, e cancellare il debito pubblico come problema. […] Prima, però, bisogna mandare a casa i sicari dell’Italia – da Monti alla Merkel – e rivoluzionare l’Europa, tornando alla necessaria sovranità monetaria. Senza dimenticare che le controriforme suicide di stampo neoliberista che hanno azzoppato il paese sono statesubite in silenzio anche dalle organizzazioni sindacali. Meno moneta circolante e salari più bassi per contenere l’inflazione? Falso: gli Usa hanno appena creato trilioni di dollari dal nulla, senza generare spinte inflattive. Eppure, anche i sindacati sono stati attratti «in un’area di consenso per quelle riforme sbagliate che si sono fatte a partire dal 1981». Passo fondamentale, da attuare subito: una riforma della finanza, pubblica e privata, che torni a sostenere l’economia. Stop al dominio antidemocratico di Bruxelles, funzionale solo alle multinazionali globalizzate. Attenzione: la scelta della Cina di puntare sul mercato interno può essere l’inizio della fine della globalizzazione, che è «il sistema che premia il produttore peggiore, quello che paga di meno il lavoro, quello che fa lavorare i bambini, quello che non rispetta l’ambiente né la salute». E, naturalmente, prima di tutto serve il ritorno in campo, immediato, della vittima numero uno: lo Stato democratico sovrano. Imperativo categorico: sovranità finanziaria per sostenere la spesa pubblica, senza la quale il paese muore. «A me interessa che ci siano spese in disavanzo – insiste Galloni – perché se c’è crisi, se c’è disoccupazione, puntare al pareggio di bilancio è un crimine.» (Gioele Magaldi e Laura Maragnoni, “Massoni società a responsabilità illimitata – La scoperta delle Ur-Lodges”, ChiareLettere Editore)
Il mio giudizio su Napolitano [che, come ha svelato Gioele Magaldi nel suo già citato saggio è anch’egli membro della super-reazionaria Ur-Lodge Three Eyes, ndr] è tutt’altro che retorico e, come sempre fattuale. Fuor di metafora: Napolitano non è stato un buon presidente per la semplice ragione che non ha rispettato l’essenza, l’anima, la missione di un Capo dello Stato: che è quello di servire il popolo, di rispettare in modo inflessibile la Costituzione, di difendere la sovranità. Napolitano, invece, appartiene a quella élite di politici che, in Italia ma non solo, di fatto si prodiga per svuotare di significato proprio la carica, le istituzioni e in ultima analisi il Paese che dovrebbe difendere. La tecnica è raffinata ma come sempre non facilmente interpretabile e mai spiegata all’opinione pubblica, che deve essere mantenuta nell’illusione. Funziona così: il rispetto formale del mandato e della Costituzione è costante, i richiami ai valori nazionali e al senso dello Stato sono rituali, retorici, obbligati. Il tono cambia quando il presidente parla di Unione europea; in questo caso trapela l’appartenenza, la convinzione, il senso storico di una missione. Il presidente che dovrebbe difendere la Costituzione curiosamente lancia continuamente appelli alla cessione di sovranità e di poteri a favore della Ue di cui auspica l’unione politica e naturalmente per il bene degli italiani (basta una ricerca su un motore di ricerca per trovare centinaia di riscontri). Nella gestione del potere nazionale ovviamente si prodiga per difendere, proteggere e al momento giusto lanciare quei politici o quei tecnici che la pensano come lui e con cui condivide le stesse referenze sovranazionali. E’ stato Napolitano ad avallare il colpo di stato con cui le élite europee hanno fatto cadere Berlusconi nel 2011, attribuendo simultaneamente l’incarico al suo grande amico e sodale Mario Monti, tra l’altro beneficiandolo della nomina improvvisa a senatore a vita; dunque rendendo possibile l’attuazione di un piano che, come ormai ampiamente dimostrato, è stato concepito mesi prima della caduta del Cavaliere. E’ lo stesso Napolitano a spingere un altro giovane, emergente sodale Enrico Letta a Palazzo Chigi e poi, dopo pochi mesi, a benedire l’improvvisa ascesa, ma gradita a certi ambienti, di Matteo Renzi, superando un’antipatia e una diffidenza personale che ora traspare, ma a cui si è inchinato in ossequio a logiche che al popolo non vengono mai spiegate. Un “obbedisco” a modo suo. E se ripercorrete la storia di questo decennio, vi accorgerete come nei momenti critici – ad esempio nel pieno delle crisi finanziarie, di quella greca o di forte criticità per la sopravvivenza dell’euro, Napolitano abbia usato tutta la sua influenza e il suo prestigio istituzionale per spingere l’opinione pubblica e le forze politiche sempre nella direzione voluta dall’establishment europeo, che appare come un referente più forte, alto e influente della Costituzione italiana. Parlare di tradimento del mandato non è improprio. Di certo quello di Re Giorgio appare come un tradimento dell’Italia. E non dobbiamo illuderci che a Napolitano subentri un eletto autenticamente patriottico. Riparleremo presto del successore, ma sin d’ora si può affermare che via un Napolitano se ne farà un altro, che offra le stesse garanzie e vanti le stesse appartenenze. Perché questa è la logica del potere che governa davvero l’Europa. E dunque anche quel che resta dell’Italia. Ma agli italiani non va detto e men che meno spiegato.
E’ ormai chiaro a chiunque, eccetto agli stolti e agli ipocriti al soldo della cupola cabalista che le “cessioni di sovranità nazionale” prima alla UE, succesivamente alla costituenda sovrastruttura mondiale hanno come obiettivo la liquidazione-liquefazione degli Stati e dei diritti Sociali. Tutti i poteri e le prerogative statuali confluiranno nelle mani della Transnational Capitalist Class, quell’1% di criminali parassiti che si comportano come i veri Padroni del Mondo. Per il rimanente 99% della popolazione mondiale c’è l’alternativa del diavolo:o morte o schiavitù.
Nel mondo globalizzato la mentalità carnivora e criminale degli “squali di Wall Street” è diventata etica dominante. Il totalitarismo neoliberista ha permesso ad animali predatori di diventare i Padroni del Mondo. Come scrive il celeberrimo economista americano James Kenneth Galbraith (“Lo stato Predatore”),
Oggi, il segno del moderno capitalismo […] non è né la benefica concorrenza né la lotta di classe, né un’onnicomprensiva utopia del ceto medio. È la predazione invece ad essere diventata la caratteristica dominante, un sistema cioè nel quale i ricchi banchettano a spese del sistema, in decadenza, costruito per il ceto medio. La classe di predatori non è costituita dalla totalità dei ricchi: può anche essere osteggiata da molte persone di ricchezza equiparabile. Essa è tuttavia la forza egemone, quella che definisce le caratteristiche. I suoi attori controllano completamente lo stato nel quale viviamo.
Che lo Stato Italiano (soprattutto da quando viene governato dai Quisling del PD) sia diventato predatoreedivori letteralmente i suoi cittadini e le sue imprese come Saturno-Kronos divorava i suoi figli, non lo diciamo noi, ma lo afferma Gian Maria Fava, presidente dell’Eurispes:
Fisco e burocrazia stanno distruggendo il Paese. L’Italia è ormai come l’uroboro descritto qualche tempo fa da Gustavo Zagrebelsky. L’uroboro è l’immagine mitologica del serpente che mangia la sua coda nutrendosi di se stesso.
In questo momento storico lo Stato sopravvive nutrendosi dei propri cittadini e delle proprie imprese, cioè della società che lo esprime. Con evidente miopia: che cosa accadrà quando non ci sarà più nulla di cui nutrirsi? Ed è questa la chiave per capire i motivi della crisi e della profonda sfiducia, quando non è odio, dei cittadini nei confronti delle Istituzioni e della politica.
Questa situazione insostenibile rende legittime le seguenti domande: lo Stato appartiene ai cittadini, o i cittadini appartengono allo Stato? Lo Stato è un’organizzazione di servizi a disposizione dei cittadini o questi sono al servizio dello Stato che ne organizza e ne gestisce la vita a suo piacimento?
In una società marcia dove il pensiero debole ha preso il sopravvento su ogni ideale Sociale e Nazionale, in cui spadroneggia la più oscena delle forme di Neoliberismo (Malthusiano, Socialdarwinista, Neofeudale, Aristocratico, in una parola, haiekiano) ci sono alcuni che tentano di rivitalizzare il concetto di solidarietà.
Tra questi Stefano Rodotà (non a caso estromesso dall’ex PCI non appena l’ala piglio-migliorista, approfittando della morte dell’Onesto Enrico Berlinguer, si impossessò del Partito, trasformandolo nell’attuale caricatura conosciuta come Partito Democratico, un partito antisociale, allergico alla democrazia, elitista, reazionario, ordoliberista e mercatista).
Stefano Rodotà dedica il suo ultimo saggio, edito da Laterza col titolo Solidarietà. Un’utopia necessaria.
Dopo essere stata a lungo esiliata dalla sfera del discorso pubblico, essa torna a riaffiorare con rinnovata attualità in una fase in cui il lessico freddo della scienza politica sembra insufficiente a raccontare la nostra vita. Con la consueta competenza, congiunta a una straordinaria passione civile, Rodotà ne percorre la genealogia, analizzandone la storia complessa, fatta di slanci e ripiegamenti, di arresti ed espansioni. Teorizzata all’origine della stagione moderna da La Boétie, Locke, Montesquieu come compenso al dispiegamento dell’individualismo, essa è espressa dal principio di fraternità nella triade rivoluzionaria, insieme a quelli di eguaglianza e di libertà. Già da allora, tuttavia, la solidarietà appare più fragile delle altre due nozioni, perché situata in un orizzonte più morale che politico. Segnata dall’esperienza cristiana, piuttosto che alla giustizia, essa è spesso ricondotta a un atteggiamento di carità nei confronti del prossimo. Così nel proclama del 18 brumaio Napoleone la sostituisce con il paradigma di proprietà. Rappresentata dalle rivendicazioni operaie nell’età della rivoluzione industriale, la solidarietà assume un rilievo politico nel primo dopoguerra, con la costituzione di Weimar. Ma è solamente dopo la seconda guerra mondiale, alla creazione del Welfare, che essa viene istituzionalizzata. Nella costituzione italiana in particolare il principio di solidarietà, menzionato nel secondo articolo, acquista consistenza nel rapporto con il doppio criterio del carattere fondante del lavoro e della dignità del lavoratore. Tuttavia ciò non basta a consolidare stabilmente l’idea, e la pratica, di solidarietà. Rodotà non perde mai di vista il nesso costitutivo tra concetti e storia, il modo in cui la mutazione dei contesti, e anche dei rapporti di potere, modifica la prospettiva dei soggetti individuali e collettivi. La reale forza di un concetto non sta nella sua fissità, ma nella sua capacità di trasformarsi in base al mutamento dell’orizzonte in cui è situato. Collocato nel punto di incrocio, e di tensione, tra i piani dell’etica, del diritto e della politica, il criterio di solidarietà deve continuamente allargare i propri confini per riempire le forme sempre nuove che assume la politica. Se fino agli anni Settanta essa riguarda essenzialmente la sfera dello Stato – definito perciò, con un termine inadeguato e restrittivo, “assistenziale” – già dopo un decennio deve misurarsi con i processi di globalizzazione. Ma proprio qui sta la difficoltà. È possibile trasferire la solidarietà dall’ambito nazionale a quello globale? Come superare le differenze che la globalizzazione non riduce, ma intensifica? Cosa può significare una solidarietà di tipo cosmopolitico? Come Rodotà ben dimostra con una fitta serie di rimandi ai Trattati e alle Carte costituzionali, in politica i processi di allargamento della cittadinanza non sono mai lineari. Anzi spesso subiscono intoppi e strappi che li mettono radicalmente in questione. A partire dall’Europa, vincolata a politiche di austerità che tendono inevitabilmente a schiacciare i membri più deboli sulla parete di un debito impossibile da scalare. Quella che oggi è in corso è una vera battaglia che attraversa i confini degli Stati lungo faglie transnazionali. Da un lato coloro che rivendicano una costituzionalizzazione della solidarietà mediante politiche capaci di ridurre lo scarto tra privilegi degli uni e sacrifici degli altri; dall’altro le grandi centrali finanziarie che cercano di neutralizzare lo stesso principio di solidarietà, limitandone gli effetti, riducendone la portata, spoliticizzandone gli strumenti. (Roberto Esposito, “Solidarietà, la più fragile e necessaria delle utopie”)
Scrive Stewart Lansley nell’intervento “Inequality: the real cause of our economic woes”citato da Zygmunt Bauman,
Secondo l’ortodossia economica, un’energica dose di disuguaglianza rende più efficienti e più veloci le economie in crescita. Ciò perché – si afferma – premi più alti e tasse più basse al vertice stimolano l’imprenditorialità e mettono a disposizione una più grande torta economica. È così che ha funzionato il trentennale esperimento di incrementare la disuguaglianza? I dati fanno pensare di no. Il versante della ricchezza è schizzato verso l’alto, ma senza produrre il promesso progresso economico. Dal 1980, il tasso di crescita e produttività nel Regno Unito è sceso di un terzo e la disoccupazione è aumentata di cinque volte rispetto alla più egualitaria epoca postbellica. Le tre recessioni successive al 1980 sono state più profonde e più lunghe di quelle degli anni Cinquanta e Sessanta, e sono culminate nella crisi degli ultimi quattro anni. Il principale risultato dell’esperimento post-1980 è stata un’economia più polarizzata e più incline alle crisi.
Il pensatore ebreo Zygmunt Bauman è considerato da molti il più significativo e immaginifico filosofo vivente. Noi condividiamo pienamente questa opinione. Il suo concetto di società liquida è ormai paradigmatico. In toto, la sua narrazione è una vivida creazione in grado di trasformare complesse problematiche sociali e l’eversioneneocapitalista in un film drammatico dai colori acidi. «Se nei suoi saggi si è rivelato il più efficace e originale inventore di linguaggio, quello della modernità «liquida», quello che ha saputo meglio rappresentare la svolta dalla solidità rocciosa dell’epoca industriale fordista alla instabile fragilità dell’oggi, questo è avvenuto grazie alle doti raffinate della sua scrittura e del suo eloquio, che riescono a conquistare il pubblico come solo i grandi narratori.» (laRepubblica)
Pierre Bourdieu, facendo riferimento allo studio del sociologo francese Loic Wacquant, sostiene che negli Stati Uniti, «Lo “Stato caritatevole”, che si fonda su una visione moralizzante della povertà, tende a biforcarsi in uno stato sociale che assicura garanzie di sicurezza minime per le classi medie, e in uno stato sempre più repressivo che cerca di contrastare la violenza generata dalle condizioni sempre più precarie di larga parte della popolazione, in particolare dei neri.» Si tratta solo di un esempio – anche se, di certo, particolarmente vistoso e spettacolare, come lo diventano sulla scena americana gran parte dei fenomeni di vasta portata, anche globali – di una tendenza più generale. Essa consiste nel ridurre quel che ancora lo stato-nazione, sempre più debolmente, conserva dell’iniziativa politica di un tempo, alle questioni della legge e dell’ordine; fenomeno che in pratica si traduce inevitabilmente nel garantire un’esistenza ordinata – sicura – ad alcuni, e nel minacciare e terrorizzare gli altri con la forza della legge. Nato da una conferenza a Friburgo dell’ottobre 1996, l’articolo di Bourdieu fu scritto sull’onda di una dichiarazione di Hans Tietmeyer. Il sociologo l’aveva letta in aereo e la sua reazione era stata viscerale perché il presidente della Bundesbank esprimeva giudizi con il tono con cui di regola si parla, quasi meccanicamente, di verità ovvie e banali che non provocano nessuna meraviglia tra gli ascoltatori o i lettori. «Il compito che ci attende oggi», aveva dichiarato Tietmeyer, «è di creare le condizioni favorevoli per la fiducia degli investitori». Aveva poi continuato elencando le condizioni, anche in questo caso brevemente e senza particolari argomentazioni, come si parla di cose che, al solo dirle, appaiono di per sé evidenti a chiunque. Perché gli investitori abbiano fiducia, per incoraggiarli a investire, aveva detto, sarà necessario controllare in maniera più rigida la spesa pubblica, diminuire la pressione fiscale, riformare il sistema della sicurezza sociale e «smantellare le rigidità del mercato del lavoro». [riecheggiano cupamente le martellanti, identiche affermazioni dei Draghi, Monti, Napolitano, ndr] Il mercato del lavoro è troppo rigido; bisogna renderlo flessibile. Il che vuol dire più arrendevole e sottomesso, facile da modellare a seconda delle situazioni, dei tagli e degli utilizzi necessari, che non opponga alcuna resistenza, quali ne siano gli effetti. Cosa vuol dire lavoro «flessibile»? Significa che gli investitori possono non considerarlo come una variabile economica, certi che saranno i propri comportamenti, e solo quelli, a determinarne la condotta. A pensarci bene, tuttavia, l’idea di «flessibilità del lavoro» nega nella pratica quanto asserisce nella teoria. O meglio, per mettere in atto quanto si postula, si deve privare il lavoro stesso di quella agilità e di quella versatilità che lo si esorta ad acquisire. Come molti dei valori che stanno in prima linea, l’idea di «flessibilità» nasconde la propria natura di relazione sociale: l’idea stessa richiede una ridistribuzione del potere, ma allo stesso tempo contiene in sé l’intenzione di espropriare della capacità di resistenza coloro la cui «rigidità» sta per essere sopraffatta. Insomma, il lavoro perderebbe la sua «rigidità» solo se cessasse di essere una incognita nei calcoli degli investitori, se in effetti perdesse il potere di essere davvero «flessibile», di rifiutare di farsi plasmare da schemi fissi, di sorprendere, e tutto sommato di porre limiti alla libertà di manovra degli investitori. La «flessibilità» pretende di essere solo un «principio universale» di sanità economica, un principio che sul mercato del lavoro si applica in misura eguale sia al lato della domanda sia al lato dell’offerta. Ma il fatto che il termine sia lo stesso nasconde come sia inteso in maniera radicalmente diversa dalle due parti in campo. Per la domanda, flessibilità vuol dire libertà di muoversi dovunque si intravedano pascoli più verdi, mentre ai locali, che si sono intanto «seminati», rimane il compito di spazzare i rifiuti e gli scarti dell’ultimo accampamento; soprattutto, vuol dire libertà di preoccuparsi solo di «quadrare sul piano economico». Tuttavia ciò che appare come flessibilità dal lato della domanda ricade come un destino duro, crudele, insuperabile e ineluttabile su tutti coloro che si trovano sul versante dell’offerta: il lavoro viene e va, scompare subito dopo essere apparso, viene spezzettato o sottratto senza preavviso, mentre le regole del gioco per le assunzioni e i licenziamenti cambiano senza appello, e chi ha o cerca un lavoro poco può fare per frenare il processo. Per rispondere quindi agli standard di flessibilità imposti da quanti fanno e disfanno le regole – per essere «flessibili» agli occhi degli investitori – la condizione di coloro che «offrono lavoro» deve essere quanto più rigida e inflessibile possibile, cioè tutt’altro che «flessibile»: va quindi limitata al minimo possibile la libertà di scegliere, di accettare o rifiutare e, a maggior ragione, quella di imporre regole del gioco proprie. L’asimmetria tra le due parti viene messa in luce proprio dalla diversa misura con cui esse possono fare delle previsioni sulle rispettive situazioni. La parte che può scegliere in un ventaglio più ampio di comportamenti introduce fattori di incertezza nella situazione dell’altra, senza che quest’ultima, condannata a opzioni ridotte quasi al nulla, sia in grado di ricambiare. Proprio la scala «globale» in cui operano le scelte degli investitori, quando la si mette a confronto con i limiti rigidamente «locali» imposti alle scelte della «offerta di lavoro», determina l’asimmetria – che a sua volta mette in luce il dominio dei primi sulla seconda -. Mobilità e assenza di mobilità sono i due poli contrapposti della società tardomoderna o postmoderna. Il vertice della nuova gerarchia è in una condizione di extraterritorialità; i livelli inferiori sono in diverso grado vincolati allo spazio; al fondo, invece, troviamo, in pratica, quelli che abbiamo già definito glebae adscripti. (Zygmunt Bauman, “Dentro la globalizzazione”, Editori Laterza)
George Santayana affermava che «chi dimentica la storia è condannato a viverla di nuovo». Non è il caso del senatore Monti.
Mario Monti sapeva perfettamente che il complesso delle misure economiche ex post contrassegnate dispregiativamente come Montinomics, avrebbero travolto l’economia italiana.
E’ per questo motivo che le ha applicate rigidamente, agevolato dall’esistenza dell’Euro.
Come hanno vaticinato in tempi non sospetti tutti gli economisti mondiali degni di questo nome, «l’euro è un marco svalutato e una lira rivalutata» e ha posto le premesse per drenare immense quantità di denaro (almeno quattrocento miliardi di euro) dall’Italia alla Germania, creando un surplus della bilancia commerciale che gli Eurocamerieri della Merkel si sono ben guardati dal sanzionare pesantemente, pur essendo previsto dagli accordi di Maastricht-Lisbona. Afferma correttamente l’autorevole e stimatissimo economista Giulio Sapelli, l’euro è una follia e Monti e gli economisti neoclassici raccontano balle:
LA POLITICA AGGRESSIVA TEDESCA SI DOTA DI NUOVI MEZZI
Ai Merkeliani non conviene il crollo dell’euro. Perché sono quelli che ci hanno guadagnato più di tutti. Anzi, al Quarto Reich tedesco conviene che la crisi del Sud Europa continui a perpetuarsi.
Come scriveva già due anni fa il macroeconomista Vito Lops su “il Sole 24 ore”,
Qui arriva il primo dato che dà la dimensione di quanto la Germania fino ad oggi stia tecnicamente beneficiando, in termini finanziari ed economici, da questa crisi. Nei giorni scorsi il Bund tedesco a 10 anni prezzava un rendimento dell’1,345% annuo, mai così basso nella storia. Se si depura questo tasso per l’inflazione (che viaggia oltre il 2%) si ottiene un rendimento reale negativo. Dato che, letto al contrario, equivale a una sorta di ristrutturazione gratuita del debito pubblico tedesco. Niente male, come vantaggio in tempi di crisi.
Anche perché questo avviene mentre i vicini, quelli più a Sud, annaspano, costretti a pagare rendimenti reali da record sul debito. E qui arriva il secondo vantaggio della Germania da questa crisi, questa volta più economico che finanziario. Negli ultimi mesi è infatti aumentato lo shopping della Germania di imprese italiane ed europee a prezzi scontati. Ma non finisce qui. La Germania, quello stesso Paese che nel 1997 pagava sui Bund a 10 anni un tasso del 5,5%, non lontano dal 6,1% dei BTp di quel tempo, funziona alla grande con l’euro. Lo dimostrano i dati sulla bilancia dei pagamenti correnti (che registra tutte le transazioni economiche di un Paese tra residenti e non residenti e quindi anche il saldo import-export). Dal 1989 al 2000 (quindi in piena fase pre-euro) la bilancia dei pagamenti correnti della Germania era in rosso per 126 miliardi. Dal 2001 al 2012 (qundi in piena fase euro, comprendendo anche l’attuale fase di crisi dei Paesi periferici) è balzata in positivo a quota 1.791 miliardi (dati Bloomberg rilanciati dalla trasmissione televisiva “Mercati, che fare” di Banca Mediolanum). E l’Italia? Prima dell’introduzione dell’euro aveva una bilancia dei pagamenti correnti positiva (53 miliardi) contro -388 accusati nel periodo successivo. Dati che si vanno ad aggiungere nella lista degli onori per la Germania dall’ingresso nell’euro. Quanto agli oneri, forse è arrivato il momento di condividerne qualcuno evitando di imporre che Paesi con storie sociali, politiche ed economiche completamente differenti adottino a tutti i costi e subito, a suon di austerity, il suo pur eccellente modello di economia sociale basato sul principio di sussidiarietà. Questo può certamente diventare il modello sociale della nuova visione d’Europa. A patto però che la Germania, lo stesso Paese dove “debito” e “colpa” si dicono allo stesso modo (schuld), faccia un passo indietro (o in avanti?) e guardi al di là dei propri confini.
In poche parole, i lanzichenecchi merkeliani ci stanno impoverendo, sottraendoci, giorno dopo giorno, grazie ai tanti Quisling, tutti i nostri averi e il nostro futuro.
Ebbene sì, dopo aver perso due guerre mondiali e innunerevoli conflitti regionali, ora, grazie all’euro, I TEDESCHI CI HANNO COLONIZZATO!
L’approfondimento del novembre 2013 dell’autorevole economista Marco Fortis su “Economia e Finanza” de “Il Messaggero”, ce lo conferma:
EURO, COSI’ LA GERMANIA HA FREGATO L’EUROPA L’Italia ha oggi un assoluto bisogno di un governo stabile e credibile che ci guidi fuori dalla crisi ma che, soprattutto, sappia finalmente imporsi a Bruxelles per contestare i parametri europei. Parametri che certificano le presunte virtù e manchevolezze dei vari Paesi: parametri rigidi, niente affatto rigorosi sul piano metodologico ed in gran parte anacronistici, che si sono dimostrati sul campo vantaggiosi solo per la Germania e il Nord Europa a tutto svantaggio dell’Italia e dei Paesi dell’Europa Latina. Nel 1998, prima che cominciasse l’era dell’euro, la Germania era la «malata d’Europa», col Pil che cresceva molto meno di quello italiano. Le famiglie tedesche, dopo la riunificazione delle due Germanie, erano super-indebitate. La ricchezza finanziaria netta delle famiglie tedesche era di appena 1.796 miliardi di euro contro i 2.229 miliardi delle famiglie italiane. Il debito pubblico tedesco del 1998, se espresso in percentuale della ricchezza finanziaria netta delle famiglie anziché del Pil, era di gran lunga più elevato (66%) di quello italiano (56%). Il rapporto debito pubblico/Pil è stupido almeno quanto i parametri di Maastricht ed in questi ultimi anni è servito a nascondere la reale sostenibilità dei debiti di molti Paesi ed a metterne in croce altri, in particolare l’Italia, eterna pecora nera ben al di là dei propri demeriti.
LA CRESCITA Sempre nel 1998, la posizione finanziaria netta internazionale della Germania (cioè lo stock di attività nette private e pubbliche verso l’estero) non era affatto quella del «gran creditore» che Berlino è oggi, ma una cifra molto modesta, pari allo 0,4% del Pil. Nello stesso anno, la bilancia commerciale della Germania era in attivo per 64 miliardi di euro, il più alto surplus dell’Ue. Ma anche la bilancia italiana lo era, per 24 miliardi, il che ci poneva al secondo posto. Tuttavia, se all’Italia del 1998 ciò poteva anche bastare, l’attivo con l’estero di allora non permetteva a Berlino di navigare nell’oro, visto l’alto debito pubblico e privato tedesco, la domanda interna asfittica ed un tasso di disoccupazione al 10,2%. Poi tutto improvvisamente è cambiato. E’ iniziata l’era dell’euro e dei parametri di Maastricht, che la Germania ha interpretato totalmente a proprio beneficio, usando l’uno e gli altri strumentalmente per accrescere la sua forza (talvolta non rispettando sfacciatamente i secondi come nel quinquennio 2001-2005, quando il deficit statale tedesco rimase costantemente sopra il 3% del Pil). Descriveremo nel seguito le due mosse micidiali con cui la Germania ha dato scacco matto all’Europa Latina, ed in particolare all’Italia. Cominciamo, innanzitutto, ad esaminare ciò che è accaduto nel periodo 1999-2007. La vulgata a cui quasi tutti hanno creduto – e che in Italia abbiamo bevuto più di tutti gli altri – è che le riforme di inizio Millennio abbiano reso grande la Germania. Certo, le riforme, a cominciare da quella del mercato del lavoro, hanno contribuito a rilanciare l’economia tedesca, ma in confronto all’euro esse hanno giocato un ruolo minimo. Ciò che ha reso davvero ricca e creditrice la Germania verso l’estero, mettendola nelle condizioni di dettare oggi legge in Europa, è stato l’euro, non le riforme e tantomeno la crescita del Pil. C’è una cifra chiave che spiega il dominio attuale della Germania: tra il 1999 e il 2012 il surplus bilaterale commerciale cumulato di Berlino con i 5 principali Paesi del Sud Europa (Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia) è ammontato a circa 840 miliardi di euro. E’ grazie a questo bottino che la posizione finanziaria netta sull’estero della Germania è cresciuta sino a toccare nel 2012 il 41,5% del Pil.[…]
I NUMERI Ecco alcune cifre in sintesi (che l’opinione pubblica, e non solo tedesca, non conosce): dal 1999 al 2007 le importazioni di auto dei «generosi» Pse dalla Germania sono aumentate di 20 miliardi di euro, quelle di farmaci di 3,4 miliardi e quelle di apparecchi elettrici di 5,3 miliardi. Ma intanto le «ingrate» importazioni tedesche di abbigliamento dai Pse diminuivano di 1,1 miliardi. […] Qualcuno dirà: «È la globalizzazione, bellezza!» Niente affatto. Solo la Germania nell’Eurozona si è comportata così sfacciatamente verso i partner e soprattutto verso l’Italia. Infatti, dal 1999 al 2007 l’import francese di abbigliamento dall’Italia è cresciuto di 453 milioni di euro, quello spagnolo di 679 milioni e persino quello greco di 246 milioni! L’import francese di calzature dall’Italia è aumentato nello stesso periodo di 257 milioni; quello francese di mobili di 317 milioni, quello spagnolo di 254 milioni, quello portoghese di 31. E così via. Appena nato l’euro, la solidarietà dei tedeschi verso i PSE è evidentemente finita subito dove cominciava il loro portafoglio. E ben prima che esplodesse il problema del debito sovrano greco
QUEL DEBITO TEDESCO CHE NESSUNO VEDE
Non paga di aver drenato immense risorse dal Sud Europa grazie all’euro dal 1999 al 2007, la Germania è riuscita anche a farsi finanziare a basso costo il proprio crescente debito pubblico durante l’attuale crisi. E ciò è avvenuto di nuovo soprattutto con flussi di denaro sottratti ai Paesi mediterranei e principalmente all’Italia. Vediamo come. Nel 2008, quando fallì la Lehman Brothers, il debito pubblico tedesco espresso in percentuale della ricchezza finanziaria netta delle famiglie (60%) era ancora assai superiore a quello dell’Italia (55%). Inoltre, nonostante il boom dell’export favorito dal tasso di cambio fisso dell’euro, il PIL tedesco era cresciuto molto poco dall’inizio del Millennio, con una domanda interna decisamente più fiacca di quella italiana. Sempre a fine 2008 la ricchezza finanziaria netta delle famiglie italiane (2.946 miliardi di euro) era ancora notevolmente più alta di quella delle famiglie tedesche (2.770 miliardi), che pure sono numericamente molte di più di quelle italiane. E, a differenza delle banche italiane, le banche tedesche erano piene zeppe di titoli “tossici” americani. Il che avrebbe portato a salvataggi dolorosissimi, che hanno contribuito in modo determinante a far aumentare il debito pubblico della Germania di 287 miliardi di euro dal 2009 al 2010! Quando nel 2010 scoppiò la crisi del debito pubblico greco che presto avrebbe contagiato anche Irlanda e Portogallo, c’erano molte ragioni perché fosse la Germania, più che l’Italia, ad avere paura del futuro. Infatti, le banche tedesche, secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, a fine settembre 2010 avevano esposizioni consolidate in Grecia per 40 miliardi di euro, in Irlanda per 154 e in Portogallo per 40, mentre quelle italiane ne avevano per meno di 5 miliardi in Grecia e in Portogallo e per soli 16 in Irlanda. […] Ma ad aiutare la Germania e gli altri nuovi debitori (di qua e di là dell’Atlantico) a togliere le castagne dal fuoco c’era l’Italia, pronta come un agnello sacrificale su un vassoio d’argento. Complice la crisi del Governo Berlusconi, la cui credibilità toccò il fondo al G-20 di Cannes, l’Italia nel 2011 divenne l’epicentro universalmente percepito della crisi dell’euro e il Paese per eccellenza “too big to fail” da additare al mondo come la possibile causa di un eventuale naufragio della moneta unica. Tutto ciò in base al più classico dei parametri consacrati dagli accordi di Maastricht: il rapporto debito pubblico/PIL. Parametro che non potrebbe essere più stupido, se applicato all’Italia, visto che nel 2010 il nostro debito pubblico in percentuale della ricchezza finanziaria netta delle famiglie, che è l’unica vera garanzia di stabilità finanziaria di una economia, era sì salito un po’, ma solo al 66%, cioè allo stesso livello della Germania, mentre la Spagna era balzata all’81%, l’Irlanda al 122% e la Grecia al 259%!
LA RICCHEZZA FINANZIARIA A fine 2010, nonostante la crisi economica, l’Italia poteva ancora vantare una ricchezza finanziaria netta delle famiglie pari al 181% del PIL, contro il 125% della Germania, il 138% della Francia, il 76% della Spagna e il 57% della Grecia. Indipendentemente dai nostri oggettivi demeriti e dalla debolezza del Governo, è indubbio che nel 2011 fece comodo a molte altre economie che l’Italia entrasse nell’occhio del ciclone e che il nostro spread andasse alle stelle. Infatti, giusto o sbagliato che fosse, gli investitori internazionali abbandonarono rapidamente il nostro debito pubblico (che fino a quel momento aveva sempre garantito ottimi tassi di interesse e regolari pagamenti degli stessi), per andare a finanziare i debiti dei nuovi Paesi in affanno, in primo luogo la Germania stessa. Ma la più sorprendente cifra di cui non si discute, perché imbarazzerebbe molto la Germania, è che dal 2008 al 2012 i debiti pubblici esteri di 20 Paesi UE censiti dall’Eurostat, Italia esclusa, sono cresciuti complessivamente di 1.084 miliardi di euro, mentre il debito pubblico estero italiano è aumentato nello stesso periodo di soli 24 miliardi. Per contro, il debito pubblico estero tedesco è cresciuto nei quattro anni considerati di ben 345 miliardi, finanziato con comodi tassi di interesse ai minimi storici. In particolare, tra il 2010 e il 2012 il debito pubblico estero tedesco è salito di 120 miliardi di euro mentre quello italiano è diminuito di 104 miliardi. La seconda mossa con cui la Germania ha dato scacco matto al Sud Europa, dopo aver accumulato dal 1999 al 2012 un gigantesco surplus commerciale con quest’ultima grazie al tasso di cambio fisso dell’euro, è stata dunque quella di aver costruito mediaticamente il mito dell’Europa meridionale super-indebitata, incardinata su un’Italia perennemente “sorvegliata speciale”. In tal modo Berlino ha potuto più facilmente attrarre gli investitori verso il proprio debito pubblico e finanziare la sua crescente spesa pubblica “keynesiana”.
LE RICHIESTE DI BRUXELLES Gli italiani hanno fatto sacrifici immensi durante questa crisi. Lo prova il fatto che la ricchezza finanziaria netta delle nostre famiglie, pur rimanendo tra le più alte al mondo, è scesa dal 2008 al 2012 da 2.946 a 2.787 miliardi di euro, mentre quella dei tedeschi – che pensano di essersi “dissanguati” per il Sud Europa – è invece cresciuta da 2.770 a 3.373 miliardi. Nonostante i “compiti a casa” che abbiamo eseguito, il commissario Rehn non pare però soddisfatto e vuole ora bocciare la nostra Legge di stabilità sulla base di qualche punto decimale di deficit/PIL e di debito/PIL in più. E’ tempo di spiegare a Bruxelles che il debito pubblico italiano, espresso in percentuale della ricchezza finanziaria netta delle famiglie, sta già diminuendo dal 2012 e continuerà a farlo anche nel 2013-14 indipendentemente dalle negative vicende del nostro PIL, tramortito dall’austerità che la stessa UE ci ha imposto. Inoltre, va spiegato a chiare lettere alla Germania che l’Italia ha un avanzo statale primario migliore del suo e che ha contribuito a salvare Grecia, Portogallo e Irlanda con un debito pubblico aggiuntivo che è stato finanziato esclusivamente dagli italiani stessi. La Germania che attinge denaro dal Sud Europa (ma si sente “vittima”), che contesta Draghi, che si oppone agli eurobond e non vuole che la vigilanza bancaria europea ficchi il naso nelle sue scassate banche locali va finalmente messa di fronte alle sue responsabilità e alla sua totale mancanza di solidarietà.
Che i Tedeschi siano tutt’altro che virtuosi lo prova anche la quantità impressionante della loro black economy, superiore in termini assoluti a quella Italiana in questo report di laRepubblica:
All’inizio, nel 2009, dentro e fuori l’Unione europea, il sommerso ha tenuto botta meglio dell’economia ufficiale: il suo giro d’affari si è drasticamente ridotto, ma meno di quanto avvenisse per il resto dell’economia, tanto che il suo peso sul Pil è tornato ad aumentare. Poi, pure l’economia nera è stata travolta, anche più rapidamente: il sommerso, che pesava sull’economia del continente per il 20,9 per cento del Pil nel 2006, è sceso al 18,5 per cento nel 2013. Anche Paesi in cui il sommerso è profondamente “incistato”, come Spagna e Italia, confermano la tendenza: il rapporto fra il giro d’affari ufficiale e quello nero è rimasto lo stesso, segno che l’economia clandestina dell’idraulico e del pasticcere è arretrata allo stesso passo. Secondo i calcoli di uno studioso del fenomeno, un professore austriaco, Friedrich Schneider, e di una grande società di consulenza, come A. T. Kearney, si tratta comunque di oltre 2 miliardi di euro, che si muovono sotto la superficie dell’economia del continente, ignoti al fisco e agli enti di previdenza. Il fenomeno è endemico in molti Paesi dell’Est, dove il “nero” sfiora spesso il 30 per cento dell’economia, ma se si guarda al volume d’affari, il grosso, circa i due terzi, è concentrato nei cinque Paesi maggiori: Italia, Spagna, Germania, Francia e Gran Bretagna. Dentro l’eurozona, nessuno ha un settore clandestino grande come il nostro: 21 per cento del Pil. I 333 miliardi di euro che gli italiani sottraggono al fisco non sono però un record. In materia di furbetti,a quanto pare, nessuno si dà più da fare degli insospettabili tedeschi, così pronti a sventolare la bandiera del rigore, della disciplina, del rispetto delle regole: fra fatture inesistenti e buste paga sotto traccia, l’economia nera vale in Germania 351 miliardi di euro. Anche se, visto che il Paese è più grande, quei soldi corrispondono solo al 13 per cento del Pil: più, comunque, di Francia e Gran Bretagna.
In verità, di fronte alla crisi mondiale, i Tedeschi, con la collaborazione incondizionata degli eurocrati, hanno deliberatamente scelto di farne pagare il prezzo ai P.E.S. (Paesi dell’europa del Sud) pur di mantenere i propri cittadini ricchi, rosei e ben pasciuti e mantenere ai massimi livelli profitti delle loro imprese.
E ci sono riusciti perfettamente, poiché la loro Wunderwaffe, la principale arma segreta, è stata l’euro.
La dimostrazione viene dai dati di disoccupazione di novembre 2014: 13,4% per l’Italia – mai così alta dal dopoguerra – 6,5% per la Germania – mai così bassa dalla riunificazione.
Altro che virtuosi e onesti: i tedeschi ci hanno nascosto l’entità del loro vero debito pubblico. HANNO ANCHE TAROCCATO I CONTI PUBBLICI PUR DI FREGARCI, avvantaggiandosi della collaborazione fattiva di tanti nostri Quisling:
Volete essere l’economia leader di questa (putrefatta) Eurozona? Facile: barate, ma barate proprio in modo disgustoso, senza vergogna. Ecco le ricette:
Inventatevi una Cassa Depositi e Prestiti, dategli il nome di KFW, fategli investire soldi pubblici nelle aziende private nazionali senza che neppure un centesimo di questi soldi compaia nei famigerati conti di Stato, così nessuno a Bruxelles se ne accorge e vi mette le manette.
Fate riforme del lavoro che fanno ristagnare i salari nazionali per 12 anni, così le vostre mega industrie nazionali possono esportare a prezzi concorrenziali succhiando il sangue ai loro dipendenti. Ma quando questi s’infuriano (perché non sono tutti idioti), date la colpa delle loro pene non al governo né ai giganti dell’export, no! La colpa è di altri Paesi europei, quelli spendaccioni, stupidi e incapaci.
Create un sistema di moneta unica europea che ha in sé un complesso meccanismo finanziario per cui il vostro concorrente industriale numero uno, l’Italia, verrà spazzato via, messo in crisi e deprezzato all’estremo. Così le vostre patetiche PMI (che in questo caso si chiamano Mittelstand) potranno venire in Italia a rubarci i nostri super brevetti e le nostre prodigiose tecnologie per due soldi bucati, e portarsele a casa loro. Oh!, e i lavoratori/imprenditori italiani… bè c’è sempre un gabinetto dove metterli, no?
Dettate la legge suprema della competitività in Europa, dove la regola numero uno è, ad esempio, prendere un Monti o una Fornero, promettergli la paghetta finale (consulenze private milionarie in ambito finanziario) a patto che diminuiscano drammaticamente sia i salari italiani che le pensioni. Ma a casa vostra fate esattamente il contrario: diminuite l’età pensionabile e fare addirittura intervenire la Banca Centrale (!) a dire che i salari vanno aumentati.
Strombazzare in tutte le sedi di potere Tecnocratico che la vostra disoccupazione è la minore in Europa. […]
Fate la voce grossa sulle RIFORME, che tutti sti Paesi mollicci del sud Europa devono assolutamente fare perché sono spendaccioni, corrotti, incapaci zavorre all’economia del continente. […]
Cambiate rapidamente discorso quando qualcuno vi ricorda che prima dell’introduzione dell’euro, cioè della macchina monetaria che vi permette di barare, c’era un piccolo industrioso Paese chiamato Italia che vi faceva un c… così sia in termini di esportazioni, che come innovazione tecnologica, ed era esattamente al vostro pari nei maggiori parametri macroeconomici. […]
Vantate di avere una grande autorevole seria mega banca, leader mondiale… mica ste botteghe di pochi spiccioli come hanno gli altri. Ma nascondete di nuovo che sta vostra illustrissima banca non è solo stra-fallita […]. E nascondete che sta vostra big bank si è anche accumulata scommesse in derivati […] per un totale di 20 volte il PIL del vostro stesso Paese. […]
Insomma, volete primeggiare in questa Eurozona? Mentite, barate, spogliatevi della minima decenza, siate bugiardi oltre il tollerabile… in altre parole chiamatevi Germania e Deutsche Bank. p.s. Poi hanno il più alto giro di mazzette in termini assoluti di tutta Europa (Craxi era un pivello). E siccome hanno dato il pretesto (la tragedia dell’Olocausto) ai Sionisti ebrei per massacrare i palestinesi, dovrebbero pagare di tasca loro un piano Marshall per tutta la Palestina. Ma non solo: i tedeschi dovrebbero essere processati per crimini contro l’umanità in Grecia, oggi. Dai, i tedeschi sono nazisti nel DNA, inutile, o l’ONU commissaria la Germania in blocco, oppure continueranno a fare Olocausti. Ce l’hanno nel DNA di essere nazisti. (tratto da paolobarnard.info)
In tutta Europa, con le prime riforme della fine degli anni ‘70, il modello di sviluppo favorevole al lavoro e alla crescita, di stampo keynesiano, è stato sostituito con «un modello neomonetarista, diretto al trasferimento di redditi, ricchezza, diritti e potere politico dalla popolazione generale e dalle classi produttive alla élite finanziaria apolide», con un fine apertamente «antisociale e incompatibile coi principi costituzionali». Questo disegno, già ampiamente realizzato dall’Ue e dalla politica italiana, «è la radicale eversione del fondamento di legittimità dello Stato», sancito dalla Costituzione italiana, che fonda la Repubblica sul “lavoro”, sulla democraticità, sull’eguaglianza giuridica e sostanziale. Come documenta il giurista Luciano Barra Caracciolo, l’insieme delle riforme e dei trattati introdotti in esecuzione di questo piano è radicalmente anticostituzionale, oltre che «penalmente illecito», in quanto «attentato contro la Costituzione commesso con mezzi violenti», cioè il rischio provocato di default pubblico e la diffusione deliberata di «disoccupazione, allarme e grave sofferenza sociale». “Il grande mutuo”, saggio di Antonino Galloni (Editori Riuniti) già nel 2007 preannunciava l’imminente esplosione di un’imponente crisi finanziaria e di Matteo Renziliquidità dopo l’inizio, anni prima, delle problematicità nell’economia reale. Quasi contemporaneamente, «in epoca di grandi promesse europeiste al pubblico», un altro saggio, “Basta con questa Italia”, firmato da Marco Della Luna (Arianna Editrice, 2008), anticipava che l’Italia, come sistema-paese, con le sue aziende pubbliche e private meno competitive di quelle straniere, sotto-capitalizzate, sotto-finanziate e strozzinate, vessate da fisco e pubblica amministrazione, incapaci di significativi avanzamenti tecnologici, sarebbe stata «rilevata dal capitale straniero, che la avrebbe riformata e gestita secondo i propri interessi, e certo non secondo quelli degli italiani». Esattamente questo sta avvenendo, scrive oggi Della Luna nel suo blog, grazie alla piena collaborazione tra la politica italiana, l’Ue e la Bce, «che hanno creato ad arte le condizioni affinché ciò avvenisse». Problema capitale: la grave carenza di liquidità, «che si pretende di combattere con misure fiscali e budgetarie che invece la aggravano, gettando il paese nelle mani del capitalismo imperialista appoggiato dalla Bce». «L’eversione costituzionale – scrive Della Luna – consiste essenzialmente nel sostituire, con l’inganno e le crisi create ad hoc, il sistema socioeconomico legittimante stabilito nella Costituzione con uno incompatibile con esso perché antidemocratico e oligarchico». Questa manomissione prende oggi il nome di “riforme”, corrompendo nel modo più subdolo anche il vocabolario italiano. Insieme allo stesso Nino Galloni, Della Luna mette a fuoco il quadro, regolarmente trascurato dai media: l’Italia è ko grazie al piano europeo nonostante la sua economia sia virtualmente ancora sana, e grazie alla disonestà organica della Germania, che bara clamorosamente. Primo appunto: «Nonostante tutto, le imprese italiane esportano più di quanto il sistema Italia importi: quindi hanno un buon potenziale medio di profitto, sono interessanti, fanno gola». Secondo punto: «La Germania ha fatto e fa imbrogli di tutti i generi», anche se – almeno fino a due anni fa, grazie a un ceto politico-imprenditoriale meno rapace di quello italiano – ha investito in innovazione tecnologica per abbassare il costo del lavoro. Terzo problema: da due anni, la stessa Germania sta contenendo la propria domanda interna. «E’ uno squilibrio dovuto a eccesso di avanzo commerciale, che corrisponde al disavanzo di altri», scrivono Galloni e Della Luna. «E’ vero che a tale avanzo non corrisponde un disavanzo dell’Italia, ma nondimeno quell’avanzo è utilizzabile per comperare, in Italia, servizi in via di privatizzazione». Si tengano presenti, poi, le intenzioni annunciate da Draghi: sostenere il credito bancario verso l’economia reale, «nei limiti del mandato della Bce». Si tratta di «espressioni allusive, indeterminate, ambigue, che prospettano una variabile ad oggi ancora tale». A pesare, intanto, è la realtà. Il capitale straniero ha potuto comprare a prezzo di saldo moltissime aziende italiane soprattutto grazie all’euro: la moneta unica agevola l’export tedesco sfavorendo quello italiano, e inoltre aumenta l’indebitamento dell’Italia, rendendo più difficile – per il nostro paese – ottenere crediti. Poi pesa anche la riduzione tedesca del costo del lavoro: «La Germania, aiutandosi slealmente con lo sforamento del limite del 3% del deficit sul Pil (autorizzato dall’Italia), nonché con trucchi contabili e con illeciti aiuti di Stato alle imprese, ha ridotto prima di Italia e altri paesi il suo costo del lavoro per unità di prodotto. Lo ha fatto anche introducendo forme di impiego a 250 e 450 euro al mese, dette minijob e midijob». Grazie a questi vantaggi strategici – moneta favorevole e minor costo produttivo, ottenuto anche “barando” – la Germania ha potuto esportare verso la periferia (Italia compresa) molto più di quanto prima importava da essa, «realizzando così per molti anni forti saldi attivi della bilancia dei pagamenti, e indebitando quei paesi verso di sé, tanto più che prestava loro soldi per importare i suoi prodotti (caso estremo: la Grecia)». Questo ha permesso a Berlino di «rastrellare a basso costo aziende valide o potenzialmente produttive e redditizie di quei paesi, per integrarle nei propri cicli produttivi», lasciando ai paesi d’orgine – come l’Italia – soltanto «le briciole dei margini di utile», o addirittura chiudendo aziende concorrenti di quelle tedesche. «Gli utili di queste aziende rastrellate – scrive Della Luna – vengono trattenuti o deportati in Germania». Di male in peggio: nel settore Marco Della Lunadei servizi pubblici, l’operazione di “rastrellamento” si sta estendendo con la partecipazione della Francia. Beneficiando di posizioni di monopolio e contando su una domanda costante, quello dei servizi pubblici – nel quale è facilissimo incrementare le tariffe – è un settore che produce fortissimi utili e rendite. Soldi, continuano Galloni e Della Luna, che «saranno sempre più raccolti dalle tasche dei cittadini e delle imprese italiane per essere deportati in Germania e in Francia: probabilmente l’asse franco-tedesco per dominare l’Ue si basa su accordi di questo tipo». Al fine di massimizzare l’utile di questa operazione, sia sul settore manifatturiero che su quello dei servizi, «questo capitalismo mercantilista e imperialista ha bisogno di fare le cosiddette riforme, le quali in sostanza sono riduzioni dei diritti economici e non economici dei lavoratori anche autonomi, aumento della loro sudditanza al datore di lavoro, aumento dei livelli di precariato, di disoccupazione e sotto-occupazione in funzione di battere la forza contrattuale dei lavoratori». Analogamente, «vengono colpiti i piccoli e piccolissimi imprenditori, artigiani, commercianti, che non si prestano al piano di conquista dell’imperialismo mercantile franco-tedesco». Ed ecco il trucco finale: «Per realizzare pienamente questa operazione di take-over sui servizi pubblici, è necessario farli privatizzare. A questo fine essi vengono, attraverso opportune campagne mediatiche, presentati come inefficienti, corrotti, dispendiosissimi, costosi, parassitari». Inoltre, «non si dice che investire in essi aumenterebbe la loro efficienza, in quanto li doterebbe di strumenti oggi mancanti e avrebbe un sicuro effetto di moltiplicatore del Pil, mentre il togliere loro fondi ha un effetto demoltiplicatore». Non è tutto: «Come ulteriore strumento per sabotarli, li si sta sovraccaricando di oneri e spese anche attraverso la politica di immigrazione di massa senza limitazioni, che sta ponendo un onere crescente e potenzialmente enorme alla spesa pubblica per l’accoglienza, mantenimento, cure sanitarie, alloggio, ricongiungimenti familiari». Profezia: «Quando la situazione diverrà esplosiva per i crescenti costi così suscitati da una parte e per la crescente disoccupazione e recessione dall’altra, con ulteriori maggiorazioni delle tasse, la popolazione stessa chiederà la privatizzazione estesa dei servizi sociali ora ancora in mano pubblica. A quel punto, capitali stranieri entreranno e occuperanno queste posizioni di mercato collegate a rendite monopolistiche». In altre parole, la fine dello Stato sociale. «Sottolineo che la Germania e i suoi satelliti riescono a sfruttare questo processo perché hanno eseguito prima dell’Italia e di altri paesi le riforme consistenti nella riduzione del costo del lavoro e dei diritti dei lavoratori», precisa Della Luna. In questo modo, anticipando i “concorrenti” europei, Berlino ha acquisito «quei vantaggi commerciali, quegli attivi negli scambi con l’Italia, quei conseguenti crediti verso di essa», che ora spende «per rastrellare le imprese e i servizi italiani». La Bce, l’Ue, Maastricht, l’euro, i vertici istituzionali: «Tutti concorrono a questo scopo strategico, spingendo per le “riforme” che l’Europa ci chiede». Tutti questi soggetti «lavorano per cedere e trasferire al capitale straniero le risorse e le aziende del paese, e insieme per trasformare i lavoratori italiani in forza lavoro sottopagata e sottomessa dei nuovi padroni finanziari stranieri». Tutto ciò accade per una ragione semplicissima: la politica italiana glielo consente. «In compenso di questa prestazione di tradimento, la nostra casta politica si riserva il ruolo di complice dei capitali stranieri, onde mantenere le sue poltrone e i suoi privilegi». Ecco perché, intorno a questo progetto, «la partitocrazia italiana si è ora saldamente unita in modo trasversale, destra e sinistra, per realizzare di corsa le famose riforme», che ovviamente «non c’entrano col rilancio economico». L’Italicum, per esempio, «è stato concordato tra Renzi e Berlusconi per sopprimere i partiti piccoli e autonomi, non radicati nel controllo della spesa pubblica». La casta punta soprattutto sulla nuova legge elettorale e sul nuovo Senato, «che hanno la funzione di blindarla contro la protesta, il dissenso, il potenziale voto contrario dei cittadini traditi e derubati dai partiti». Non a caso il Senato ridisegnato dal Patto del Nazareno «viene preposto alla regolazione della spesa pubblica e consegnato agli uomini degli apparati partitici regionali, ossia la parte peggiore, più vorace, della partitocrazia: potranno mangiare più che mai, spalleggiati e legittimati anche dagli interessi stranieri». Naturalmente è già in programma anche una riforma della giustizia, «per mettere al guinzaglio quei giudici che restano fedeli alla Costituzione e alla Repubblica». Scontato: «La voteranno tutti Monti e Napolitano insieme, trasversalmente. Sono già d’accordo. E poi qualcuno avrà diritto alla grazia».
ANSCHLUSS 2.0
Come tutte le grandi invasioni militari allestite dai Teutonici, anche la colonizzazione dell’Europa è stata accuratamente preparata. Le prove generali vennero svolte durante il processo di riunificazione delle due Germanie. Wolfgang Schäuble, attuale ministro delle finanze e all’epoca uno dei responsabili di Bonn nel negoziato per il Trattato sull’Unione, lo dichiara apertamente: «a de Maizière (primo ministro a Berlino) era ben chiaro, come a Tietmeyer (capo negoziatore e futuro presidente della Bundesbank) e a me, che, con l’introduzione della moneta occidentale, le imprese della Rdt di colpo non sarebbero più state in grado di competere».
Vi ricorda qualcosa?
Con l’introduzione dell’euro le imprese dei PES (Italia in primis) hanno perso rapidamente la propria competitività!
Lo smontaggio dell’economia tedesco-orientale non è l’unico esperimento di ingegneria sociale che si svolge in Europa negli anni 90: anche se procede con mezzi meno cogenti, la costruzione – a partire dall’adozione della stessa moneta – di un’area economica integrata ha un tratto consimile che consiste nell’idea di riorganizzare una vasta serie di attività industriali e finanziarie secondo un disegno preordinato ad alta intensità ideologica: in un libro denso di informazioni e lucido nell’analisi (“Anschluss – L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa”, Imprimatur editore) Vladimiro Giacché, dirigente di Sator (boutique finanziaria di Matteo Arpe) e studioso di impianto marxista, paragona i due esperimenti e rintraccia temi ricorrenti, analogie operative, intenzioni convergenti. L’“annessione” dell’economia pianificata dell’est a quella di mercato dell’ovest,, che l’autore racconta in dettaglio, si basa su tre capisaldi. Anzitutto il primato, temporale e strutturale, dell’unione monetaria: il 7 febbraio 1990, a meno di tre mesi dalla caduta del Muro, Kohl, il cancelliere federale, propone alla Rdt, lo stato tedesco-orientale, di unificare in tempi brevi la moneta e poco dopo, durante la campagna elettorale a est (le prime elezioni politiche libere dopo quasi 60 anni si tengono il 19 marzo), promette un cambio alla pari che si realizza il 18 maggio quando i due stati tedeschi firmano il Trattato sull’Unione monetaria economica e sociale (in vigore dal 1° luglio). Il marco dell’est non era convertibile, ma negli scambi commerciali fra le due Germanie l’uso pratico ne richiedeva 4,4 per fare un marco dell’ovest. Il cambio alla pari, così sproporzionato, ha conseguenze profonde sulla vita dell’est: risparmiatori e creditori lucrano forti vantaggi, si agevola l’accesso alle merci occidentali (ma subito parte l’aumento dei prezzi), le imprese, già obsolete, finiscono fuori mercato: la debole economia dell’Est va in pezzi ed è pronta per rimodellarsi secondo il disegno dell’ovest. La moneta è fin dall’inizio lo strumento per mutare i rapporti economici e per questa via riorganizzare l’Est: Wolfgang Schäuble, attuale ministro delle Finanze e all’epoca uno dei responsabili di Bonn nel negoziato per il Trattato sull’Unione, lo dice senza giri di parole: “A de Maizière (primo ministro a Berlino) era ben chiaro, come a Tietmeyer (capo negoziatore e futuro presidente della Bundesbank) e a me, che, con l’introduzione della moneta occidentale, le imprese della Rdt di colpo non sarebbero più state in grado di competere”. In secondo luogo c’è l’invenzione della Treuhandanstalt, una sorta di istituto di amministrazione fiduciaria che ottiene quasi tutto il patrimonio della Rdt allo scopo di privatizzarlo nei tempi più brevi. Alla fine del 1994 “la più grande holding del mondo”, che il 1° luglio 1990 concentra in sé 8.500 imprese, 20.000 esercizi commerciali e 25 miliardi di metri quadri (terreni, foreste, immobili), conclude il suo compito. Molto è liquidato a inizio opera, poco è risanato, la gran parte del patrimonio è venduta a prezzi stracciati e trattativa privata a compratori tedesco-occidentali (a loro va l’87 per cento delle imprese privatizzate). Il bilancio finale è in perdita per 257 miliardi di marchi: a fronte di 73 miliardi di ricavi (37 soltanto realmente riscossi) stanno spese di risanamento (154 miliardi), bonifiche ambientali (44 miliardi), debiti pregressi (101 miliardi) e altri costi. Dei 4 milioni di lavoratori che secondo stime del governo Kohl sono impiegati a fine 1989 nelle imprese poi gestite dalla Treuhand, solo un milione e mezzo – secondo valutazioni degli acquirenti – mantiene un posto di lavoro dopo il risanamento. Per Giacché l’opera della Treuhand, alla fine, non fu altro che “distruzione della base industriale della Germania est”. Infatti “la vecchia Rdt era un paese solido almeno sotto un profilo: il patrimonio dello stato era un multiplo del debito pubblico”. Infine il privilegio accordato alle banche dell’ovest: acquirenti a prezzi di saldo e quasi in esclusiva delle banche orientali, si ritrovano in pancia una massa ingente di crediti (per lo più partite di giro fra articolazioni dello stato, unico proprietario esistente nel regime comunista) coperti, a norma del Trattato sull’unione, da garanzie del nuovo stato unificato. In totale sono acquisiti “crediti per 44,5 miliardi di marchi: una cifra pari a 55 volte il prezzo pagato dai compratori. Già i soli interessi del 10 per cento che le banche cominciano a praticare rappresentano un multiplo del prezzo d’acquisto”. I capisaldi che creano l’“annessione” sono applicati, nota Giacché, in modo radicale, con intensità fondamentalista: la Germania est, sbandata e inerme, è in condizioni simili a quelle di un paese che ha perso la guerra. “Si tratta di un ingresso della Rdt nella Repubblica federale, e non di un’unione tra pari di due stati” (è sempre Schäuble che parla, con l’abituale ruvidezza). Nel caso dell’Eurozona i tempi sono allungati, il radicalismo della gestione è smussato, quasi dissimulato, ma i princìpi, le linee di fondo si mantengono. Anche in Europa la moneta è l’elemento fondante del nuovo rapporto fra gli stati: precede ogni altra decisione, vincola la politica, indirizza l’economia. Chi decide il cambio e governa la moneta poi comanda l’unione fra gli stati e fa la politica comune. Quando nel 1991-’92 negozia l’abbandono del marco e dà via libera alla moneta comune, Kohl sa bene, a differenza degli altri leader europei, quanto conti il vincolo monetario: ha già fatto un test. La storia dell’euro con i numerosi vantaggi offerti alla Germania e la progressiva riduzione della base industriale in molti paesi – soprattutto dell’orlo sud – conferma la dirompente forza politica della scelta che mette la moneta al primo posto e “costringe a chiedersi se l’unione monetaria non abbia replicato lo stesso meccanismo” all’opera nella Germania unificata. Il secondo caposaldo che caratterizza l’annessione dell’est tedesco e poi ricompare in grande formato sulla scena europea è l’indifferenza per la ricchezza (umana, produttiva, fisica) presente nei paesi che hanno difficoltà con l’impianto monetario reso vincolante: le ricette imposte a Grecia, Portogallo, Spagna o lo strisciante degrado industriale e tecnico vissuto dall’Italia fanno da testimonianza. Giacché cita, a suggello, dichiarazioni di Steinmeier, oggi ministro degli Esteri in quota Spd (ma Juncker e Schäuble ne hanno fatte di analoghe), che offrono il modello Treuhand quale via di risanamento: “Vale la pena di riflettere sulla proposta di un modello europeo di Treuhand a cui apportare il patrimonio statale della Grecia da privatizzare in 10-15 anni. Col ricavato la Grecia potrebbe ridurre il suo indebitamento”. Infine, ed è il terzo caposaldo, la struttura stessa degli algoritmi di Maastricht è pensata per proteggere i creditori e nei casi di crisi acuta, come in Grecia, è stata efficace nell’aprire alle banche una via d’uscita. Incorporazione della Germania est, creazione dell’area a moneta unica, conferma delle regole dell’euro nonostante le pessime prestazioni e l’ostilità del resto del mondo (Stati Uniti in testa: tutti vedono dissolversi nell’inanità contabile un partner come l’Europa essenziale per la crescita). La sequenza, che allinea un mezzo successo pagato a carissimo prezzo (non solo dai tedeschi) e un disastro economico-sociale reiterato senza correzioni per quasi sette anni, impressiona non solo per la durata temporale ma soprattutto per la resistenza alle confutazioni della realtà. Quali sono le forze potenti che hanno imposto all’Europa, senza chance di revisione, un modello tedesco così squilibrato e asimmetrico? [grassetto nostro, ndr] (Antonio Pilati, L’Anschluss secondo Angela, ilfoglio.it)
Vladimiro Giacché specifica:
[L’Eurozona è] «utilizzo ai limiti del cinismo di rapporti di forza, rifiuto di compromessi accettabili, convinzione integralistica dell’assoluta superiorità del proprio punto di vista, difesa accanita degli interessi» nazionali. Chi vuole potrebbe rintracciare ascendenze storiche: dopo Bismarck la Germania ha spesso concepito assetti europei centrati su di sé e, come ovvio, sbilanciati nella distribuzione della potenza continentale. La formulazione più articolata si trova nel “Septemberprogramm” del cancelliere Bethmann-Hollweg, che è redatto nel 1914 in piena offensiva della Marna e pone come obiettivo nazionale «la fondazione di una associazione economica mitteleuropea mediante comuni convenzioni doganali con l’inclusione di Francia, Belgio, Olanda, Danimarca, Austria-Ungheria, Polonia, Italia, Svezia e Norvegia». L’associazione, «caratterizzata esternamente da parità di diritti tra i suoi membri ma in effetti sotto direzione tedesca» costituisce, nella visione del suo ispiratore Walther Rathenau, nel 1922 ministro degli esteri a Weimar poi assassinato da estremisti di destra, uno strumento essenziale per consentire alla Germania così rafforzata di mantenere una posizione di potenza mondiale come Stati Uniti, Gran Bretagna e Russia. Finché la scala delle operazioni è limitata al rango nazionale, come nel caso della Germania Est, il modello totalizzante, che implica asimmetria di comando fra chi propone l’impianto mercantilista e chi l’adotta, funziona, anche se con costi alti; quando invece con un salto di dimensione si passa alla scala continentale e il rapporto tra la potenza egemone e le altre non è più una soggezione storicamente confermata ma sfuma in una meno cogente subordinazione politica, come nell’area euro, allora le disfunzioni del modello diventano insuperabili: le divaricazioni fra gli Stati si allargano, la politica riprende spazio e contesta gli algoritmi, lo stallo prevale – in mancanza di strumenti autocorrettivi. Un modello ideale che promette, attraverso successive cessioni di sovranità, l’evaporazione degli Stati nazionali in una prospettiva confederale contrasta con gli interessi vitali che tuttora formano la trama di fondo della politica europea e soprattutto con il sentimento delle popolazioni che oggi collocano la propria sfera di esperienza solo entro la dimensione nazionale. Ma non è solo immobilismo, palude dei comitati e dei vertici: crescono le divisioni dentro la società europea, si estendono crepe e fratture: ideologia ufficiale contro esperienza vissuta, classi dirigenti contro popoli, nord contro sud, algoritmi da applicare rigidamente contro sentimento della contingenza politica. (La Germania sta distruggendo l’Europa, ancora una volta, libreidee.org)
L’unica nostra salvezza fisica prima che economica è l’immediata uscita dall’euro:
Fuori dall’euro. E’ talmente semplice, banale, immediato che occorrono centinaia di grafici per cercare di dimostrare il contrario. Le economie di paesi legati ad altre valute (tutte “fiat” quindi virtuali e inesistenti di fatto) sono floride (e non parlo solo dei cosiddetti Brics) perché non seguono il dollaro, la Fed e la sua cupola. Non cito economisti di prestigio, perché non credo nell’economia come scienza. L’economia è uno strumento di inganno e truffa. Period. Ma ce ne sono eccome. E l’andamento schizofrenico del prezzo dell’oro la dice lunga su come a breve si tornerà al cambio contro oro e ai tentativi di non farlo capire. L’Italia ha la quarta riserva aurea del mondo. In tale scenario avrebbe la quarta più solida moneta del mondo. Certamente, dopo che collaborazionisti come Andreatta, Ciampi, Prodi, Berlusconi, D’Alema, Monti, Letta e i dipendenti del Potere-che-è (si legga comitato dei Trecento e la sua emanazione Bilderberg), ottemperando al piano della P2 (il quale a sua volta somiglia tanto ai famigerati Protocolli di Sion, falsi o veri che siano, ma sempre del 1921) hanno smantellato pezzo per pezzo ogni capacità produttiva locale con la scusa della globalità, dell’Europa, del “mercato”. Ecco. Mercato. Una parola in bocca ad ognuno di noi, una panacea per spiegare qualsiasi losco meccanismo abilmente pilotato dalle cento corporation che governano il mondo. Unito a qualche informazioncina che la Nsa forniva al “mercato” stesso (o a una parte di esso) e a qualche appalto confezionato ad hoc provocando guerre e malumori locali, tutto ciò è il “mercato”. Ovvero quel che si crede essere un luogo di libertà dove prevalgono le eccellenze e invece è solo un’arena dove si portano in pasto ai leoni (i soliti da secoli) le vittime sacrificali che non appartengono agli interessi dell’élite.
E stiamo ancora pubblicando grafici? Mi ricordano le “grida manzoniane”, le leggi complesse e articolate che servono per metterlo in tasca alla logica comune (la fotografia dell’Italia attuale). Non importa cosa dicono i grafici. Ciò che importa è la nostra coscienza e la capacità di riacquisire un criterio di giudizio personale che vada in culo ai tecnici ed ai cosiddetti “professori”, a stipendio delle multinazionali e delle mafie economiche. Chiudete la Bocconi. Mandateli a lavorare nei campi e così avranno un quadro efficace dell’andamento dell’economia: dal produttore al consumatore. Io c’ero con la lira e ci sono con l’euro. Rispetto ai tempi del terrorismo e del rischio atomico, dei blocchi contrapposti, oggi abbiamo una risorsa in più che è l’economia asiatica. E nonostante questo, che allora non c’era, viviamo come servi impoveriti e senza alcuna speranza reale e futuribile di miglioramento. Se non basta questo a capire che l’euro è una truffa del regime massonico mondiale cosa altro ci vuole? Una mazza da baseball nei denti?(Danilo Verticelli, Chiudete la Bocconi e mandateli a lavorare nei campi, “libreidee.org”)
Il concetto dell’austerità espansiva è la più grande porcata della storia della Macroeconomia, in parte basato sullo studio di Reinhart-Rogoff “Growth in a Time of Debt” (RR 2010) che contiene errori di metodo tanto marchiani da ingenerare il sospetto che si tratti di un falso totale, confezionato ad arte per realizzare uno dei fini tanto bramati dai capi della Cabala Mondiale: la deindustrializzazione e il depauperamento dei PES e in particolare di Grecia e Italia.
Quello che ci insegna il caso dello studio Reinhart-Rogoff è fino a che punto l’austerity è stata spacciata servendosi di falsi pretesti. Per tre anni, l’adozione di politiche di austerity è stata presentata non come una scelta ma come una necessità. Secondo i suoi sostenitori, era la ricerca economica ad aver mostrare come eventi terribili succedano ogni volta che il debito superi il 90 per cento del PIL. Ma la “ricerca economica” non ha affatto mostrato cose del genere; è stata una coppia di economisti a sostenere quell’asserzione, mentre molti altri dissentivano. I decisori delle policy hanno abbandonato i disoccupati e si sono rivolti all’austerity per scelta, non perché vi fossero costretti. (Paul Krugman, “The Excel Depression”, The New York Times)
Barnard non è proprio quel che si dice un giornalista presenzialista o amante delle ospitate TV. Uomo schivo ma pungente, riservato ma schietto, introverso ma coinvolgente e dirompente come pochi. L’ex collaboratore di Report, ha ricordato agli Italiani (soprattutto a quelli più distratti e plagiati: trovando in questo piena intesa con quanto da sempre sostenuto dal nostro Osservatorio Nazionale Indipendente) come lo scoppio della pseudo-crisi finanziaria, non sia stato qualcosa di casuale o di ereditato dalla crisi dei sub-prime Usa, per “contagio”, ma sia stato bensì il frutto di un vero e proprio complotto internazionale. Davvero buffo, cari lettori, è notare come a distanza di poche ore dai loro due rispettivi interventi, due personaggi in pressocché totale antitesi, come Berlusconi e Barnard, abbiano invero finito col dire la stessa cosa. Per motivazioni diverse, ovviamente, ma giungendo allo stesso risultato: quello del professor Monti è stato un golpe – un colpo di stato – pensato nei salotti occulti ed élitari della finanza internazionale. Barnard e “Il più Grande Crimine” Teoria messa da Barnard nero su bianco nel suo libro “Il più grande crimine”: scritto di grande successo, ma disponibile solo in rete. Un intervento durissimo quello dello studioso: un attacco diretto al professor Mario Monti, definito apertamente “criminale e bugiardo, mero esecutore di una sorta di disegno ordito dalla lobby della finanza per distruggere il Sud Europa”. Intervento subito dopo “censurato” – seguendo il tradizionale copione del “politically correct” oggi in voga nei principali salotti televisive e tra centinaia di asservite redazioni giornalistiche – dell’onorevole Matteo Colaninno (Pd). Ottimo rappresentante d’occasione della casta montiana: esemplare – come si dice in questi casi – “avvocato del diavolo”. Sovranità Monetaria Rubata e “Modern Money Economy” Una puntata, questa di “L’Ultima Parola”, interamente dedicata all’annoso e spinoso tema della sovranità monetaria rubata agli stati. Al centro del dibattito, vi è stata la Modern Money Theory, con interessanti spunti e documenti video dello studioso Warren Mosler. Tra gli interventi più interessanti, prima del gran finale, quello di Giorgio Cremaschi (Fiom), che ha posto il dito nella piaga dei trattati-truffa di Bruxelles che hanno finito per regalare la sovranità ad una ristretta élite di banche private (come sapete, quel che sosteniano noi di “Qui Europa” da sempre); intervento seguito dall’appunto dell’economista Giulio Sapelli, che ha invece notato la reale ed effettiva inutilità dell’Europarlamento a livello decisionale e legislativo. Tutto, infatti – come molti ignorano – dipende ormai dalla Commissione europea di Manuel Barroso: un organismo élitario e davvero poco democratico, costituito da membri rigorosamente non eletti, ma bensì nominati. “E’ ora di dire la verità alla gente – ha sbottato Sapelli – possiamo votare solo per il Parlamento Europeo, un organo che alla luce dei fatti non conta niente!”. Morale della favola: fine della democrazia reale, ed esautoramento dei Parlamenti: sia quello europeo che quelli nazionali. Daniel Estulin – Un Fiume “Notturno” in Piena Non meno dirompente e “rivoluzionario” (per la compassata ed irregimentata RAI) sul finale di trasmissione (quando ormai a guardare la tv saranno rimasti solo qualche migliaio di telespettatori) è stato l’intervento di Daniel Estulin – giornalista lituano-russo autore del best seller “The Bilderberg Club” – che dalla sua poltroncina ha tuonato: “Il vostro nemico è Mario Monti! E’ un traditore della nazione italiana e dovrebbe essere messo in prigione!” D’altronde Estulin è uno che di violenze, prigioni e torture ne ha una certa esperienza di vita ben impressa nel ricordo e nel cuore: suo padre era un dissidente politico, e per questo imprigionato e torturato, in quanto reo di essere stato un attivista a favore della libertà di espressione in Unione Sovietica. Estulin – “Monti Traditore della Patria! In carcere!” “Stiamo vivendo la crisi finanziaria più terribile di tutta la storia dell’umanità – ha denunciato lo scrittore – ma si tratta di una crisi che riguarda miliardi e miliardi di dollari che non potranno mai essere ripagati. Qualunque governo che cercherà di ripagare questo debito – ha proseguito – distruggerà il proprio paese. Tutto quello che finora si è cercato di fare – ha poi aggiunto – è stato obbligare i cittadini a pagare un debito pubblico, gonfiato da interessi usurai della finanza internazionale e aggravato, nell’Eurozona, dall’impossibilità di ricorrere all’ossigeno della moneta sovrana. Ciò – ha ammesso – dal momento che noi non possiamo pagare, e non può pagare neanche il governo (…) In Italia – ha allertato Estulin – persone come Mario Monti, che sanno esattamente quello che sta succedendo nel mondo, distruggeranno il Paese di proposito”. Morale della favola? Monti è un traditore della Patria: crimine che andrebbe punito con il carcere! Parola di Estulin! Pensiero evidentemente – all’inconfutabile luce dei fatti – di tutti i pochi giornalisti, politici e scrittori intellettualmente e moralmente onesti ancora in circolazione nel nostro Paese. Il Cancro da Estirpare e la più Terribile Crisi dell’Umanità Ma Estulin – alla luce dei suoi scritti e dei suoi studi – è andato ben oltre la mera accusa. C’è di più! “Si parlò di quel che sta avvenendo – ha denunciato con coraggio lo scrittore, ben dopo la mezzanotte, su RAI 2 – già nel 1968 alla conferenza Bilderberg in Canada, dove si disse che non era più possibile avere fiducia negli Stati-nazione e sperare che facessero il “lavoro sporco” delle grandi corporations. Troppi rischi: la democrazia avrebbe potuto correre il rischio di dare alla luce politici onesti. Tanto valeva spegnerla, annullarla e commissariare gli stati, distruggendone la sovranità. La soluzione? Creare un’unica azienda globale a responsabilità limitata – ha sottolineato – perché le aziende hanno molto più potere di qualsiasi altro governo al mondo. E creature come Mario Monti sono, semplicemente, il sottoprodotto di questo sistema. Se non ci liberiamo da questo cancro – ha concluso – saremo di fronte alla più terribile crisi dell’umanità. Siamo alla svolta della storia, e la strada che prenderemo adesso deciderà il futuro dell’umanità”. A voi, cari lettori, le ovvie conclusioni.
Ricordiamo, ancora, che dopo il golpe finanziario-istituzionale dello spread del 2011 non abbiamo più avuto premier eletti, ma solo nominati e che, grazie alle misure imposte da Mario Monti in poi, il debito pubblico italiano è schizzato in tre anni di trecento miliardi di euro!
Vorremmo che fosse chiara una cosa: solo Quislingpossono accettare, per mero opportunismo carrieristico, la permanenza della propria Nazione nell’attuale Eurozona germanocentrica. E troppo spesso abbiamo un’informazione distorta, orwelliana, gestita da corifeie sicofanti, sempre proni nei celebrare le “virtù” di cotali individui.
L’editorialista del Financial Times Wolfgang Munchau lo ha affermato più volte: «La situazione economica italiana è insostenibile e porterà a un default sul debito a meno che non ci sia un improvviso e duraturo cambiamento nella crescita». Inoltre, «il Paese non ha strumenti per uscire dalla “trappola”» ed «è ingenuo pensare che l’economia ripartirà miracolosamente quando le imprese potranno licenziare il personale» [#JobsAct, che sarebbe più giusto definire #FiringAct, ndr]. Il problema è che l’Italia «non ha gli strumenti»per stimolare la crescita: al contrario del Giappone, che ha un rapporto debito/Pil del 200% ma è ancora considerato “solvente”, Roma «non può abbassare il tasso di interesse, non ha banca centrale che possa finanziare con la moneta i suoi debiti, non ha un tasso di cambio da poter svalutare». Chiaro, no? Sono le stesse cose che va ripetendo da anni Paolo Barnard. Ed è questo il motivo per cui è stato messo all’indice, ai margini dell’informazione di “sinistra”, ostracizzato in primis proprio da “Report” di Milena Gabanelli.
Munchau e i Nobel dell’Economia Krugman, Stiglitz, Sen. hanno dimostrato una cosa ancora più grave: Il PIL Italiano, nella migliore delle ipotesi, non tornerà ai livelli del 2007 (l’ultimo anno pre-crisi) prima del 2025. In poche parole, grazie ai continui aumenti delle tasse, alla deflazione salariale, alla distruzione della sanità pubblica, alla disoccupazione dilagante, nel 2025 almeno un quarto dell’attuale popolazione italiana sarà stata spazzata via da fame, stenti, malattie. Affermare che, dal 2015 in poi, il PIL tornerà a crescere è solo una menzogna: l’unica cosa che schizzerà in alto sarà il rapporto debito/PIL che raggiungerà presto il 150%. Logico, tra l’altro. Se il denominatore (PIL) scende, il numeratore (debito) non può che salire.
Mettere il punto su tali fatti, dire la verità sull’attuale politica economico-sociale europea, per alcuni politici è «eversione», perché non c’è nulla di più eversivo della verità, come affermava duemila anni fa il primo vero rivoluzionario della Storia: Gesù Cristo.
Mario Monti disse la verità.quando affermò che «il più grande successo dell’euro è la Grecia». Gli occhi gli brillavano di palese soddisfazione. E non certo perché le cose in Grecia andassero bene. Al contrario: la Grecia era, in quel momento, in ginocchio. Tra il 2008 e la fine del 2013 il PIL reale (ossia corretto per l’inflazione, ndVdE) della Grecia è crollato del 28%. Ma la Grecia era allora, come oggi l’Italia, il Paese-test sull’uso dell’euro come arma non convenzionale per abbattere i diritti civili, lo Stato sociale e la Sovranità Nazionale. E per diventare, de facto, un Protettorato della Germania
L’impegno continuo dei cabalisti massoni è quello di far arretrare l’intera Europa al Medioevo, con Padroni da una parte e glebae adscripti, gli schiavi, dall’altra. Come chiedeva a gran voce JP Morgan Chase, la merchant bank controllata dal Capo della Sinarchia, D. Rockefeller:
Il sogno dei finanzieri è uno Stato che funzioni come un’azienda, ma un’azienda di fine ‘800. Basta col bilanciamento dei poteri, ci vuole un governo forte. Basta con le protezioni del lavoro. Basta con queste Costituzioni antifasciste […]. Basta con la libertà dei cittadini di protestare. E’ un sogno che JP Morgan, la più importante banca d’affari del mondo insieme a Goldman Sachs, ha messo nero su bianco in un documento sulla crisi in Europa. Il paragrafo più significativo: «I sistemi politici della periferia meridionale (dell’Europa) sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da quell’esperienza. […]. Questi sistemi politici e costituzionali del sud presentano tipicamente le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori; […]; e la licenza di protestare se vengono proposte sgradite modifiche dello status quo. La crisi ha illustrato a quali conseguenze portino queste caratteristiche. I paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati nella loro azione dalle Costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia)». JP Morgan ci spiega dunque che il buon funzionamento dell’economia non è un mezzo attraverso cui si cerca di migliorare il benessere collettivo, ma il fine da perseguire a costo di stracciare le garanzie e i diritti che definiscono uno Stato democratico. Naturalmente si presuppone che gli Stati siano guidati da élites. Sorprende, che i nostri finanzieri non abbiano menzionato esplicitamente anche la sospensione del diritto di voto, anche se la adombrano quando si preoccupano della «crescita di partiti populisti».
Gli attacchi all’antipolitica definita “patologia eversiva” acquistano ora, sotto questa luce, un ben diverso significato
Rivediamolo, quel video con Monti che parlava del “caso Grecia”:
Giova ricordare quanto affermava già nel 2003 un altro cooptato delle èlite aristocratiche e finanziarie mondiali, Tommaso Padoa-Schioppa, sulla necessità di delimitare il perimetro dello Stato e di provvedere immediatamente alle riforme strutturali che non sono altro che la macellazione dei diritti del ceto medio al fine di ripristinare una Società Feudale Mondiale, di Padroni e servi:
Non restavano che le riforme strutturali, eterno ritornello di quelle che Luigi Einaudi chiamava le sue prediche inutili: lasciar funzionare le leggi del mercato, limitando l’ intervento pubblico a quanto strettamente richiesto dal loro funzionamento e dalla pubblica compassione. Nell’ Europa continentale, un programma completo di riforme strutturali deve oggi spaziare nei campi delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola e in altri ancora. Ma dev’ essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’ individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna, con la sanzione o il premio ai suoi difetti o qualità. Cento, cinquanta anni fa il lavoro era necessità; la buona salute, dono del Signore; la cura del vecchio, atto di pietà familiare; la promozione in ufficio, riconoscimento di un merito; il titolo di studio o l’ apprendistato di mestiere, costoso investimento. Il confronto dell’ uomo con le difficoltà della vita era sentito, come da antichissimo tempo, quale prova di abilità e di fortuna. (Tommaso Padoa-Schioppa, “Corriere della sera”)
Lo storico John Lucaks ha scritto: «Nel nostro futuro c’è un nuovo feudalesimo barbarico». Proprio riferendosi all’attuale Capitalismo Neliberale e Neofeudale, «i filosofi della Scuola di Francoforte (Horkheimer, Adorno, Marcuse,…), autori della teoria critica della società, hanno definito totalitarismo lo stesso capitalismo perché, in quanto sistema economico sociale, utilizza la cultura di massa (non la cultura prodotta dalle masse, bensì quella prodotta dai mezzi di comunicazione di massa) e l’industria culturale per massificare gli individui e controllarli psicologicamente e politicamente in ogni momento della loro vita e in ogni aspetto del loro pensiero» (Wikipedia, voce Massificazione)
Mario Monti, come spiega questa intervista resa a Quelsi da Augusto Grandi, giornalista del Sole24Ore e coautore de “Il grigiocrate”, è l’uomo imposto [dalla Cabala Mondiale di Bilderberg-Trilateral-CFR, ndr] per sperimentare in Italia un nuovo modello politico:
Il modello è quello di un’Europa del sud trasformata in una sorta di Bangladesh per l’europa del nord. Bassi salari, fuga dei cervelli e importazione di braccia per lavori non qualificati. Ma un Bangladesh anche a vocazione turistica. Il paradiso dove verranno a svernare ricchi cinesi e tedeschi, russi e americani. Perché l’Italia? Perché la Grecia è troppo piccola e debole per sperimentare un modello. L’Italia è la terza economia europea, la seconda manifatturiera. Dunque la sperimentazione ha davvero senso. Nel libro, Mario Monti è definito “un uomo abituato a essere nominato e non eletto”. Chi è Mario Monti? E perché è stato scelto lui? Un uomo per tutte le stagioni. Commissario europeo in quota centrodestra e pure in quota centrosinistra. Membro del cda Fiat all’epoca delle tangenti di cui non si era accorto. E poi Goldman Sachs e agenzia di rating che declassava l’Italia mentre lui non se ne accorgeva. Un tipo distratto, ma silente e sobrio esecutore degli ordini dei poteri forti. Quei poteri forti che secondo lui non esistono, per poi sostenere che aveva perso il loro favore. L’uomo ideale per svolgere il lavoro sporco nell’interesse dei mercati internazionali e a danno dell’Italia. Mario Monti si può definire un “uomo solo al comando” oppure la sua ascesa è frutto di un intreccio di rapporti e amicizie? Mai solo al comando. Sempre e soltanto all’interno della sua cerchia di potenti e di camerieri dei potenti. Altra figura di spicco di questo governo è Elsa Fornero, ministro del lavoro. Una frase del libro recita “In realtà ad Elsa interessava scardinare tutto il sistema sociale italiano, basato su tutele a volte eccessive ma comunque indispensabili per garantire la sopravvivenza dell’economia nazionale”. Perché questo? La Fornero è il braccio armato del governo. Ha portato l’età delle pensioni ai livelli record d’Europa. Non si è accorta, distratta anche lei, delle decine di migliaia di persone che, grazie a lei, perdevano pensione e reddito da lavoro. Ha dato la libertà di licenziare e di fronte a 800 mila disoccupati in più ha ricordato che in un’azienda gli occupati erano aumentati. Grazie alle follie della Fornero i lavoratori italiani sono costretti ad accettare condiziono indecenti o ad emigrare. Il progetto di impoverire l’Italia non può prescindere da lei. Nel “Grigiocrate” si fa più volte riferimento ai “giornali amici” del governo tecnico. Quali sono? C’è solo l’imbarazzo della scelta. A partire dal Corriere, che ha avuto Monti come editorialista per vent’anni, per passare a Repubblica che su Monti vuol creare il partito “scalfariano”. E poi l’ipocrisia de La Stampa che descrive sbavando servilmente le sobrie vacanze di Monti a St. Moritz. E ancora Il Messaggero casiniano.
E sono proprio i succitati giornali di regime che levano gli scudi in Italia a protezione della Merkel ogniqualvolta essa viene accusata dello sfascio economico dei PES e di aver imposto un regime antidemocratico e totalitario in Europa.
Ci hanno colpito – tra le altre – le argomentazioni addotte nel panegirico pro-europa che Leonardo Coen ha scritto per “il Fatto Quotidiano”, per celebrare l’anniversario della caduta del muro di Berlino: «Viviamo ancora tempi bui: i rigurgiti neonazisti trovano consensi tra chi subisce le conseguenze più nefaste della depressione economica o chi vorrebbe il proprio Paese fuori dall’Euro. L’ascesa vertiginosa di populismo e demagogia in tutto il Vecchio Continente, figlia della paura e sorella di un euroscetticismo alimentato dalla favola del declino continentale». Aggiunge che «le destre becere abbaiano contro l’Europa. Per forza: la casa comune comunque cerca di difendere quei valori che fascismo, totalitarismo e regimi autoritari odiano: democrazia, diritti dell’uomo, pace, lotta alla povertà e alla sopraffazione» e manifesta «il fondato sospetto che Mosca finanzi la destra razzista e xenofoba per sabotare Bruxelles».
Favola del declino europeo??? Altro che favola, è la pura realtà! La realtà distopica dell’attuale Eurozona.
Per quanto riguarda la lotta alla povertà, chiedere ai Greci, immiseriti, senza sanità pubblica e massacrati nei valori e nei diritti proprio da quell’Europa che tanto viene decantata. (cfr. Ok, prendete una mazza e spaccate pure la testa ai greci, “libreidee.org”, tratto dal blog di Paolo Barnard)
Ed ora è scattato il turno degli Italiani e dei Francesi, attanagliati da una depressione economica devastante che ha, come causa prima, l’euro e i diktat dittatoriali di questa Europa così tanto democratica.
Ci poniamo una domanda: ma in quale outopia vivono tanti giornalisti di Repubblica-Corsera-Sole24ore-laStampa, per non parlare poi dei TG Nazionali? Noi vediamo migliaia di negozi chiusi, centinaia di migliaia di piccole imprese fallite, lavoratori disoccupati e manganellati se osano protestare, giovani senza prospettive, salari ai livelli del Terzo Mondo, diritti sociali calpestati e liquidati, ospedali che chiudono per i tagli alla sanità, treni regionali soppressi, grandi città alluvionate a causa dei vincoli imposti nel patto di stabilità, decine e decine di migliaia di suicidi, italiani senza denti perché non possono permettersi più il dentista, cittadini che affogano nel fango, pensionati che raccattano cibo buttato nei cassonetti dei mercati, tarTASSE scaricate sul groppone del ceto medio-basso per arricchire rentiers, speculatori internazionali, banchieri, Casta, Eurocrazia e Tedeschi.
Dell’articolo supra, ricordiamo che l’autore è uno dei fondatori di Repubblica, il quotidiano di Carlo De Benedetti.Un gruppo editoriale, quello di Repubblica-l’Espresso, sempre in prima linea nella tutela dell’integrazione auropea e da sempre favorevole alle “cessioni di Sovranità Nazionale” a vantaggio della tecnocrazia europea.
E tutto diventa chiaro.
Sento voci che dissentono. Ma che dici, Repubblica è il maggior quotidiano di sinistra, è democratico, progressista… Leggiamo cosa scrive in un recente editoriale il deus ex machina di Repubblica, Eugenio Scalfari, sodale di Giorgio Napolitano, Mario Draghi e Mario Monti:
I nomi che dominano la scena italiana ed europea in questi giorni sono due: il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi. Qualche osservatore malizioso ha anche messo in rapporto queste due eminenti personalità ipotizzando un’eventuale successione dell’uno all’altro ma le cose non stanno affatto così, Draghi non ha alcuna intenzione di andare al Quirinale, i suoi compiti e i suoi obiettivi sono del tutto diversi come lui stesso afferma pregando i suoi amici di diffonderla. Cosa che, adempiendo al suo invito, faccio con piacere. Napolitano dunque se ne va. […] Giorgio Napolitano è stato, non c’è dubbio, uno dei nostri migliori presidenti della Repubblica: ha avuto un rispetto non formale ma profondo per gli altri poteri dello Stato e per le prerogative che la Costituzione attribuisce al Presidente; ha considerato i cittadini come i destinatari dei benefici che la democrazia gli riconosce.[sic!] Nel frattempo l’economia italiana ed europea attraversano una fase di gravi tensioni ed è per questo che le carte del gioco sono nelle mani di Draghi. Osservando con attenzione le sue mosse si capisce che il cardine della sua politica è quello di avvicinare quanto più è possibile l’azione della Bce ai privati. È il solo modo per agire sull’economia reale e quindi superare la crisi in atto. Quando si parla di privati, specialmente in Italia, si parla di banche. […] Per quanto riguarda l’Italia, Draghi ritiene che sono necessarie riforme rapide sul lavoro, sulla produttività e sulla concorrenza. Non so che cosa pensi delle battaglie che i sindacati fanno contro l’abolizione dell’articolo 18 ma non credo siano per lui di grande interesse. Ci deve essere, certamente, una protezione dei lavoratori contro vessazioni ingiustificate, ma non può essere limitata e comunque diversa tra un tipo di lavoratore e l’altro. Personalmente credo sia questo anche l’obiettivo della Cgil, ma Draghi di questi problemi non parla. Parla invece dell’Europa riconoscendo che il suo obiettivo sarebbe quello di necessarie cessioni di sovranità dei singoli Stati in favore dell’Unione. Lo preoccupa molto – a quanto so – il continuo aumentare dei partiti entrati nel Parlamento europeo e che detestano l’Europa, detestano la moneta comune e detestano soprattutto l’immigrazione. Se continua questa tendenza il Parlamento europeo correrà il rischio di essere in mano alle forze che rifiutano moneta comune e immigrazione. È un tema estremamente preoccupante e Draghi ha perfettamente ragione a denunciarne la gravità. [il grassetto è nostro, ndr]
Renzi deve offrire alla Merkel il comando ufficiale dell’Europa. Così guida, ma ha la responsabilità dell’Europa. Se continuiamo a dire che la Merkel è una stronza ci mette la testa nel cesso.
“Cessioni delle sovranità nazionali”… Peri confratelli di Bilderberg-Trilateral-CFR-ComitatoDei300 è un autentico mantra:
Ricordiamo anche quanto affermò il (finalmente) ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della presentazione del libro “Sull’orlo del baratro” di Francesco De Filippo e Gianni Pittella.
Abbiamo bisogno di più Europa, un’ Europa divisa e senza regole è l’obiettivo di chi ancora pensa di poter giocare un ruolo nella globalizzazione difendendo e tutelando interessi particolari. La velocità con cui si muove la finanza globale richiede un governo internazionale dell’economia che sappia affrontare problemi non più su scala nazionale. La finanza e gli strumenti finanziari si evolvono velocemente, troppo velocemente per consentire agli stati di reagire in tempo utile. Non si tratta di un fallimento della globalizzazione. […] La globalizzazione dei problemi, conclude Napolitano, richiede la globalizzazione delle soluzioni. In altri momenti della sua storia l’Europa non è crollata perché leader politici di prima grandezza hanno saputo anteporre gli interessi europei a presunti tornaconti nazionali. Il punto è questo : servono decisioni forti, coraggiose, assunte su un piano europeo, mentre la maggior parte dei nostri governanti sono politici in versione light. (Napolitano: “la globalizzazione dei problemi richiede la globalizzazione delle soluzioni”, http://it.ibtimes.com)
Last but non least, il cabalista elitario Henry Bloody Kissinger, che amplifica mediaticamente le farneticazioni della Massoneria Deviata. L’unica soluzione per superare le crisi economiche e politiche (innescate dagli stessi cabalisti), secondo Kissinger, è costruire un nuovo «ordine mondiale di Stati che affermino dignità individuale e governance partecipativa, e collaborino a livello internazionale secondo regole concordate». Alla faccia dei disinformatori professionali (gli autoreferenziali e sedicenti demistificatori) che diffamano macroeconomisti keynesiani, storici, filosofi e giornalisti investigativi i quali – spesso rischiando la vita – sollevano il velo posto sulla costruzione inesausta della cloaca maxima del Nuovo Ordine Mondiale. Utilizzano tali professionisti della disinformazione le metodologie del Sicherheitsdienst (cfr. incidente di Gleiwitz), le tecniche di condizionamento delle masse impartite dal “Mein Kampf” di Hitler e “Psicologia delle folle” di Le Bon, quando non adottano un modus operandida veri e propri squadristi del web.
Per le ristrette menti manichee di tali individui problematici e violenti, chi non la pensa come loro è un diverso, un Untermensch, quindi un nemico da abbattere:
Anche [le] maggiori potenze mondiali, vecchie e nuove, affrontano una realtà nuova: mentre la letalità della loro forza militare è più grande che mai, la loro capacità di imporre il controllo sulle masse politicamente risvegliate del mondo è a un minimo storico. Per dirla senza mezzi termini: in tempi precedenti, era più facile controllare un milione di persone che uccidere fisicamente un milione di persone, oggi, è infinitamente più facile uccidere un milione di persone che controllare un milione di persone.
Come i suoi burattini, anche il burattinaio Brzeziński, se la prende contro la Resistenza Populista che, soprattutto in Europa, sta facendo deragliare le perverse trame della Sinarchia, opponendosi all’integrazione europea costruita dalla cricca massonica dei banksters e dei totalitaristi eurofilisti. Scrive in questo articolo Paul Joseph Watson per “Infowars.com”:
Durante un recente discorso in Polonia, l’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale Zbigniew Brzezinski ha messo in guardia gli altri elitisti che la “resistenza” mondiale al “controllo esterno”[della Cabala Mondiale, ndr] di movimenti di “attivismo populista” minaccia di far deragliare la transizione verso un nuovo ordine mondiale.[…]
[Egli ha biasimato] la“crescitaintutto il mondo dell’attivismopopulista che si sta dimostrandoostilealla dominazioneesterna, deltipoche ha prevalsonell’eradel colonialismo edell’imperialismo.“ Brzezinskiha concluso che la “persistente e motivataresistenzapopulistadei popolipoliticamenterisvegliati estoricamenterisentitiperil controllo esternoha dimostrato di esseresempre più difficile da reprimere.” […]
Le osservazioni sono state effettuate a un evento per il Forum europeo per le nuove idee (EFNI), un’organizzazione che sostiene la trasformazione dell’Unione europea in un superstato federale anti-democratico, il [fattuale] “controllo esterno” che Brzezinski ha sottolineato essere minacciato.[dal risveglio della coscienza dei popoli Europei, ndr]
La stampa occidentale dissimula che il capo della Cabala, il centenario David Rockefeller ha apertamente dichiarato nella sue Memorie che:
Alcuni credono che facciamo parte di una cabala segreta che lavora contro gli interessi degli Stati Uniti, definendo me e la mia famiglia come ‘internazionalisti’ e di cospirare con altri nel mondo per costruire una struttura più integrata a livello mondiale politico ed economico. Se questa è l’accusa, mi dichiaro colpevole, e sono fiero di esserlo. (Memoirs, p. 405)
In altri tempi tali individui sarebbero stati immediatamente tradotti in carcere per alto tradimento, cospirazione ed eversione. Oggi massoni deviati, quisling e disinformatori internazionali si spellano le mani ad applaudire ogni loro step criminale che sta gradualmente spingendo l’Umanità verso il più grande genocidio della Storia.
Scorrono davanti ai nostri occhi le scene di Guerre Stellari – La vendetta dei Sith, dove un Senato galattico di sicofanti e sottopancia applaude freneticamente la morte della Democrazia appena proclamata dal Totalitarista demoniaco Palpatine. Padmé Amidala commenta amaramente, «E’ così che muore la Libertà: sotto scroscianti applausi.»
In tutto il Mondo, particolarmente in Europa, domina un’informazione secondo la quale chi ama la propria Nazione è un becero populista. Chi non vuol veder liquidare la propria identità nazionale, sociale e culturale nel minestrone sciapo europeo è uno xenofobo con rigurgiti fascisti. Gli antagonisti dell’integrazione e dell’eurofilismo sono sempre tacciati di essere autoritari, qualunquisti e demagoghi.
Le forze politiche che operano nei diversi Paesi dell’Unione europea, “pur nel pieno rispetto delle specificità di ciascuna realtà”, hanno il compito di contrastare “l’insorgere di illusori e facili populismi e il ripiegamento su anguste e sterili chiusure entro orizzonti nazionali”. Così il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. (“Napolitano appello contro i populismi”, “la Repubblica”)
Chi si oppone al sistema di integrazione coatta, elitario, pesantemente burocratico, simil-sovietico, indifferente alle necessità degli strati sociali più deboli, imposto dalla UE ai Paesi dell’Eurozona, diventa, per antonomasia, populista, demagogo e xenofobo, se non peggio, fascista quando non ha rigurgiti nazisti.
La Storia dimostra il contrario: è sempre stata la sinistra socialista-fabiana europea e quella marxista ad esprimere leader autocratici, populisti e demagoghi. Due figure recenti su tutti: François Mitterrand e Tony Blair.
Un altro esempio:
Circa 25mila greci hanno protestato contro la visita ad Atene della cancelliera tedesca Angela Merkel, la prima dall’inizio della crisi della zona euro. Secondo i dimostranti non ci sono dubbi: la responsabile della situazione drammatica in cui versano è la Germania, questo nuovo Reich accusato di dissanguare il loro paese. Hanno quindi sventolato bandiere naziste e alcuni di loro hanno addirittura indossato l’uniforme della Wermacht. […] Dopo tre anni di crisi, una parte della società greca in pratica si rifiuta di riconoscere di essere la causa prima della propria situazione. Nessuno ha imposto ai greci uno degli stati più corrotti del pianeta. Nessuno li ha costretti a fare spese militari deliranti, a esonerare dal pagamento delle tasse il clero e gli armatori, a lasciare che la stragrande maggioranza della popolazione evadesse il fisco, a fingere di avere i requisiti per entrare nell’euro, a indebitarsi a più non posso, a permettere che i salari aumentassero a dismisura, a non approfittare dei bassi tassi di interesse sul debito e investire di conseguenza nella loro economia, e così via. Certo, si può rimproverare agli europei di aver chiuso gli occhi di fronte a queste derive note a tutti. Ma i greci non sono dei bambini.[…] Ma la zona euro e la Germania alla fine hanno reagito mettendo a disposizione 240 miliardi di euro in aiuti (sotto forma di prestiti) che hanno permesso alla Grecia di onorare le proprie scadenze. A quella cifra vanno aggiunti oltre 50 miliardi in obbligazioni greche rilevate dalla Banca centrale europea, la più grande ristrutturazione del debito dell’intera storia moderna, altri 15 miliardi di euro in aiuti finanziari suddivisi in due anni, un’assistenza tecnica (europea e bilaterale, in particolare tedesca) senza precedenti per contribuire alla nascita di uno stato moderno. Andando ad Atene, con un gesto teatrale, la cancelliera riconosce gli sforzi compiuti dal governo Samaras e intende affermare che non desidera (più?) che la Grecia esca dalla zona euro, mentre l’opinione pubblica tedesca resta favorevole a questa prospettiva. Di conseguenza, sventolare le bandiere naziste non solo è spregevole, ma anche imbecille, e non può che esacerbare la situazione: i tedeschi – la cui democrazia è tra le più ammirevoli al mondo – non apprezzano molto che si ricordi loro ancora una volta il nazismo e che lo faccia un paese che non è un esempio di democrazia. Ci si potrebbe consolare pensando che in definitiva si è trattato soltanto di 25mila manifestanti e di un gruppetto di cretini che sventolavano le bandiere naziste (per di più in un paese che ha appena eletto in parlamento un gruppo neonazista). Quanto meno la Grecia ora dovrebbe sentirsi indotta a mettere a punto una legge che punisca questo genere di istigazione all’odio. (Jean Quatremer, La stupidità degli anti-Merkel, “voxeurop.eu, traduzione di Anna Bissanti,)
«L’ignoranza è forza» è uno dei tre slogan del Socing (Ingsoc) in “1984” di George Orwell. La Neolingua e il “Ministero della Verità” orwelliani sembrano diventare il supporto ideologico dei mezzi d’informazione mondiali, addomesticati e controllati dalla Cabala Mondiale dei banksters e delle multinazionali:
Oggi è tanto indelicato ricordare ai bravi ragazzi tedeschi che la Germania è stata la culla del Nazismo…
I prigionieri dell’Eurolager devono accettare supinamente e in silenzio la loro condizione di neoschiavi. Come gli Ebrei che, nel Terzo Reich Tedesco, dovevano accettare di farsi gasare senza emettere un fiato.
Chi difende la propria CULTURA, le proprie TRADIZIONI e la propria NAZIONE, chi ama la LIBERTA’ e la DEMOCRAZIA, chi si oppone all’INTERNAZIONALISMO LIBERALFEUDALE MASSONICO E BOLSCEVICO, è un nemico pubblico da isolare e recludere. Magari da abbattere. Si invocano addirittura leggi contro la libertà di opinione e di pensiero. Si richiede il carcere duro per chi protesta civlmente contro l’euro, la troika e la ue. La difesa della propria identità Culturale e delle tradizioni Nazionali è diventata istigazione all’odio.
Emblematico il comportamento della Commissione Europea che, a suo tempo, grazie anche ai finanziamenti ricevuti dalla popperiana“Open Society” del finanziere e speculatore ebreo George Soros[il responsabile del crollo della Lira nel 1992, ndr] e dalla Banca Mondiale, si è battuta per la tutela dell’identità culturale dei Rom. Per la tutela di Grecia e Italia, culle della civiltà occidentale, l’eurocrazia non sembra avere grande interesse.
Quella europea è la metafora della Sovranazione Oceania di 1984. Nessuna differenziazione, nessuna cultura, nessuna Storia, nessuna Gemeinschaft, nessuna religione se non il materialismo portato all’eccesso e l’atomizzazione degli individui. E’ il novello “homo europeus”, cioè un minestrone di pseudocultura preriscaldata, sciapa e stucchevole, confezionato dalle multinazionali cabaliste.
L’homo europeus ha un solo modo di manifestare la propria esistenza in vita: farsi un selfie!
«La libertà è schiavitù»
«La guerra è pace». A chi tenta una sia pur debole opposizione, tanti, troppi giornalisti – o meglio sarebbe definirli propagandisti – urlano brutalmente: «Voi, voi che osate contestare la UE, voi siete nazisti!»
Riecheggia, cupamente, il trittico per conquistare il consenso delle masse come divulgato da Gustav le Bon in “Psicologia delle folle”, un testo febbrilmente compulsato da Benito Mussolini: AFFERMAZIONE-RIPETIZIONE-CONTAGIO. Per tale propaganda 2+2 fa 5.
GLI STATI UNITI D’EUROPA
Malgrado la disinformazione imperante tenti disperatamente ma inefficacemente di nascondere la verità, vengono a galla le prove inequivocabili che, come afferma Francesco Maria Toscano nel suo autorevole blog “Il Moralista”, è tutta questa artificiale costruzione europea, una Torre di Babele antidemocratica e antipopolare e antisociale, ad essere nazista:
Lentamente, tra mille cautele e distinguo, alcuni intellettuali spesso ospitati sulle pagine dei nostri “grandi giornali” cominciano a porsi domande sulle bontà di questa costruzione europea. Non sarà che alcune procedure riservate che preludono l’elaborazione di trattati europei, da fare poi approvare a scatola chiusa ai singoli parlamenti nazionali come nel caso del Fiscal Compact, si chiede pensosa Barbara Spinelli, finiscano con lo svuotare in nuce quella sovranità che la nostra Costituzione antifascista assegna ai cittadini? La brillante e sempre originale editorialista in forza a Repubblica è stata effettivamente colta da un pensiero infido e sottile. Con sommo ossequio provo ad accennare una sintetica analisi volta a rafforzare le argute suggestioni che, come fantasmi molesti, albergano nella mente dei più intuitivi fra gli illustri pensatori che quotidianamente danno lustro alla nostra povera Patria. Ebbene sì, luminosissima professoressa Spinelli, la Ue è nei fatti e non da oggi nemica della democrazia e del benessere diffuso, l’acqua calda brucia e in inverno è preferibile indossare un cappotto prima di uscire (specie la sera). Risolti in via preliminare questi oscuri enigmi, difficilmente percepibili da occhio profano, è ora il caso di approfondire l’argomento. Questa Europa, a differenza di quello che pensano e scrivono alcuni collaborazionisti più o meno consapevoli, non è preda di un deprecabile deficit democratico (frase da pronunciare, se possibile, con le erre moscia che fa tanto sinistra chic). E’ nazista. Nazista nel perseguire l’obiettivo di un ridisegno sociale che mira dolosamente alla fucilazione dei deboli e degli ultimi, al riparo di una maschera arcigna e tecnocratica che impone un insindacabile e insensato rispetto di alcuni assurdi parametri comunitari pensati per preservare una presunta e inesistente “purezza del bilancio” in luogo dell’oramai improponibile e demodé mito della “purezza della razza” di hitleriana memoria. […]
Ancora più esplicito Toscano su quale sia il metodo ermeneutico da applicare per comprendere l’attuale Eurozona:
L’Europa si è bruscamente risvegliata sotto il tallone della Germania. Oramai i nazisti che guidano il governo tedesco, Merkel e Schaeuble su tutti, non rispettano più neppure le forme. La Commissione Europea così come l’Eurogruppo o la Bce appaiono finalmente per quello che in realtà sono: paraventi buoni per mascherare l’assoluto dominio teutonico su tutti i popoli del Vecchio Continente. L’antico sogno hitleriano si è realizzato in pieno senza neppure dover ricorrere all’utilizzo di fucili e carri armati. Come abbia potuto la signora Merkel uccidere impunemente la democrazia in Europa resta un mistero. Una nazione sconfitta e umiliata, messa nelle condizioni di non nuocere all’indomani della seconda guerra mondiale, decide oggi per tutti, scegliendo di fatto arbitrariamente chi è degno di ricevere i fondi e chi no. Siamo all’assurdo. Il neoeletto premier greco Tsipras è costretto ad andare a Berlino con il cappello in mano nella speranza di ammorbidire la posizione dell’arcigna Germania. Ma chi ha deciso che la Germania è il nostro indiscusso nume tutelare? Nessun cittadino europeo ha mai conferito alla signora Merkel un mandato democratico. I tedeschi quindi stanno palesemente violando la sovranità di nazioni ancora oggi formalmente libere e indipendenti. L’Europa ha imboccato una deriva terribile, tenuta brutalmente al laccio da un manipolo di fanatici che dimostrano di non tenere la democrazia in nessun conto. I vari Renzi, Hollande e Rajoy sono poco più che valletti nelle mani del feroce gabinetto germanico, burattini che tradiscono il mandato ricevuto per guadagnare sul campo la benevolenza dei conquistatori. E’ perciò inutile sperare in un sussulto d’orgoglio da parte di simili soggetti, anime nere che mentono continuamente sapendo di mentire. L’unica prospettiva possibile è quella che punta a creare e sedimentare una solidarietà pan-europea organizzata dal basso. C’è bisogno cioè di un nuovo Movimento trans-nazionale che raccolga all’interno di un unico contenitore tutti i sinceri democratici ovunque dislocati. Un contenitore libero e plurale, cementato però dalla radicale avversione nei confronti del totalitarismo finanziario e tecno-fascista oggi incarnato da un triumvirato famelico composto da Angela Merkel, Wolfang Schaeuble e Mario Draghi. Questa è la strada giusta. E’ sbagliato invece fomentare contrapposizioni di tipo prettamente nazionalistico. L’élite che oggi sovraintende lo svuotamento della democrazia sostanziale in Europa è apolide. I tedeschi, per indole e costituzione, si limitano soltanto a recitare meglio degli altri la parte dei kapò. Ma Hollande e Renzi, pavidi comprimari, non sono migliori di Angela Merkel, aggiungendo un pizzico di ignavia condita di ipocrisia alla conclamata e unanime predisposizione al sopruso e al raggiro. Nel frattempo in Italia come in Francia proseguono le controriforme di stampo neoliberista approvate da governi formalmente progressisti e di sinistra. Rileggendo i punti della lettera scritta nell’Agosto del 2011 dalla Bce di Trichet e Draghi c’è da restare sbalorditi. I governi Monti, Letta e Renzi hanno palesemente applicato l’indirizzo politico deciso d’imperio da un istituto sprovvisto di mandato democratico. Siamo tornati al Medioevo, quando il potere promanava da Dio e i sudditi erano chiamati a non turbare un immutabile ordine costituito. Il nuovo Dio si chiama mercato finanziario e Mario Draghi è il suo profeta. (Francesco Maria Toscano, UNITI SCONFIGGEREMO IL RIGURGITO NAZISTA CHE OPPRIME L’EUROPA, ilmoralista.it)
In poche parole, viviamo nelladistopia par excellence, nell’incubo, partorito dalle menti perverse dell’autoreferenziale élite tecnocratica mondiale: è l’EUROLAGER.
Gli schiavi del Lager Europeo cominiciano, anche se a fatica, a liberarsi dalle catene di decenni di indottrinamento che hanno condizionato i liberi popoli europei ad accettare la schiavitù dell’ordoliberalismus mercantile. Oggi i Quisling politici europei combattono una battaglia persa contro i populismi nazionali e si trovano improvvisamente – con sospetta serendipità – a combattere contro il Terrorismo. E, con indicibile cinismo, fanno un passaggio per loro logico, in realtà irrazionale, secondo cui l’unico modo per contrastare il Califfato dell’Is è accelerare verso gli Stati Uniti d’Europa.
In verità’, quella Europea è una costruzione basata sulla frode e sulla corruzione, che ha posto al proprio vertice il massone Jean-Claude Juncker, il dominus della più grande frode fiscale della Storia d’Europa: LUXLEAKS!
Il sistema fiscale lussemburghese priva molti governi “di miliardi di euro di entrate fiscali” grazie agli accordi segreti conclusi con migliaia di multinazionali poco presenti nel piccolo paese europeo, rivela Le Monde, che pubblica una lunga inchiesta realizzata in collaborazione con una quarantina di media internazionali e con il collettivo americano International Consortium on Investigative Journalists. Sulla base di 28mila pagine di accordi segreti firmati fra il Granducato e 340 grandi imprese, fra le quali Amazon, Apple, Deutsche Bank e Ikea, l’inchiesta rivela in particolare che «questi gruppi risparmiano miliardi di euro ogni anno grazie alla creazione di una holding o di una filiale in Lussemburgo con attività ridotte e con pochi dipendenti. […] Sempre strategiche, queste operazioni hanno un unico obiettivo: pagare il minimo di imposte e esserne del tutto esonerati.» I dispositivi fiscali “sono legali, ma considerati dannosi”, osserva il quotidiano francese, secondo il quale «la Commissione europea indaga da giugno sulle attività di un paese che ha costruito un regime fiscale su misura per questi grandi gruppi, in deroga al diritto comune. La Commissione ritiene che i vantaggi concessi ad alcune imprese siano potenzialmente assimilabili ad aiuti di Stato illegali.» Nel frattempo il Luxemburger Wort osserva che le rivelazioni arrivano “in un momento particolarmente delicato” per il nuovo presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, che “ha diretto gli affari fiscali del Lussemburgo per un ventennio” in qualità di ministro delle Finanze e di primo ministro. Con un’inchiesta europea già in corso sui regimi fiscali negoziati con Amazon e la Fiat mentre era a capo del governo, Juncker ha risposto alle rivelazioni «dicendo di avere le “sue idee” ma che non avrebbe fatto nulla per intralciare l’inchiesta della Commissione, “perché un atteggiamento del genere sarebbe indecente”.» Tuttavia il giornalista Richard Brooks, per il quale il Granducato “deve il suo status di primo paradiso fiscale del mondo grazie alla sua posizione nel cuore dell’Europa”, spiega sul Guardian che le inchieste «riguardano solo gli eventuali accordi vantaggiosi in favore di alcuni gruppi, mentre il problema più grave è che il Lussemburgo offre importanti vantaggi fiscali a tutte le grandi imprese, a condizione che queste abbiano abbastanza denaro.» A Varsavia la Gazeta Wyborcza conclude affermando che «l’inchiesta “Luxembourg Leaks” svela un numero così importante di “contratti fiscali” lussemburghesi che difficilmente i contribuenti europei potranno accettare questa situazione. Tanto più in un periodo in cui questi ultimi sono costretti da tempo a tirare la cinghia.» (“Inchiesta sul primo paradiso fiscale del mondo”, voxeurop.eu)
Juncker è stato
imposto dalla Merkel come presidente della Commissione Europea sarà un’autentica condanna a morte per Francia e Italia, dove Hollande e Renzi saranno costretti a subire ancora più austerity, assistendo al boom inarrestabile di Marine Le Pen e Beppe Grillo. Lo sostiene l’autorevole analista economico del “Telegraph”, Ambrose Evans-Pritchard, secondo cui il lussemburghese Juncker è un vero maestro del “metodo” da gangster attribuito al francese Jean Monnet, uno dei tanti “padri” dell’atroce Ue. Testualmente: «Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo di vedere cosa succede: se non c’è nessuna protesta, perché la maggior parte delle persone non capisce cosa stiamo facendo, andiamo avanti passo dopo passo fino a quando siamo oltre il punto di non ritorno», ha dichiarato candidamente Juncker al tedesco “Der Spiegel”.[…] Nel frattempo, la Germania teme seriamente che il Regno Unito possa salutare la sgangherata compagnia europea, dopo che la Merkel «ha allegramente perseguito i suoi interessi con effetti venefici sulla psicologia politica della Gran Bretagna», facendo salire il consenso per un’uscita del paese dalla Ue fino a un record del 47,39%. Berlino ora si sta preoccupando di limitare i danni, aggiunge Pritchard: il vice-cancelliere Sigmar Gabriel ha detto che l’uscita britannica significherebbe la disintegrazione del progetto europeo. «Non dobbiamo sottovalutare l’impatto sugli Stati anglosassoni e sui mercati finanziari», ha detto. «L’Europa sembrerebbe lacerata e indebolita agli occhi del mondo: già viene considerata un continente in declino». Anche per il terribile ministro delle finanze Wolfgang Schauble, l’uscita britannica sarebbe «assolutamente inaccettabile». Ha ragione, dice Pritchard: «Un’uscita britannica sconvolgerebbe la chimica interna dell’Unione Europea, rischiando una reazione a catena», aumentando la solitudine dell’egemone Germania. Non solo: il Regno Unito continua a crescere più dell’Eurozona del 2% annuo, e l’aumento è anche demografico – oltre 400.000 abitanti l’anno – proprio in un momento in cui la Germania sta entrando in una crisi demografica. Dunque la situazione è critica, e oggi un uomo come Juncker è davvero il peggior presidente possibile. (“Juncker letale per Italia e Francia, e Londra lascerà l’Ue”, libreidee.org)
Malgrado ciò, la Merkel non ha transatto nel volere comunque lo screditato Juncker a capo della Commissione Europea, dando l’ennesima dimostrazione empirica che il pesce puzza dalla testa.
I cittadini Italiani, soffocati economicamente dalla UE germanocentrica e dall’Euro, schifati dalla corruzione europea non meno di quella italiana, vengono massicciamente bombardati da propaganda di tal genere:
Questo è sicuramente la peggiore di tutti. c’è l’esultanza per il fatto che la Ue sta trattando – in assoluta opacità e segretezza – i famigerati TTIP e TISA. Giusto per fare un esempio, grazie al TTIP l’acqua pubblica italiana (cioè la NOSTRA ACQUA) potrebbe essere svenduta ad una multinazionale come la Nestlé, che poi la rivenderebbe a un euro al litro a noi che ne eravamo i proprietari. In presenza di una legge nazionale (o di un referendum popolare, come nel caso Italiano) che ne impedisca la svendita ai privati, la nazione colpevole verrebbe immediatamente condannata da un tribunale arbitrale a pagare miliardi di euro alle multinazionali che avessero perso la possibilità di fare affari sulla pelle degli abitanti di quella stessa Nazione. Non è vero? leggete qui:
[Ttip] Trattato di libero commercio Usa/Ue, ovvero la riedizione più feroce della direttiva Bolkestein da ratificare entro il 2015: le leggi di un paese, le delibere di un comune, le vittorie dei movimenti sociali, gli accordi sindacali, i referendum dei cittadini, dovranno essere compatibili con gli interessi delle aziende e la libera concorrenza e come tali verranno giudicati e sanzionati da Tribunali arbitrali privati e da avvocati aziendali. E le privatizzazioni rese obbligatorie. Il trattato è la privatizzazione dichiarata della politica. Pensate, si raccomanda che tutto ciò debba avvenire in silenzio, «per non creare ansia e senso di minaccia da parte dei cittadini». Non sarà quindi marginale parlare di acqua nella campagna elettorale europea e chi verrà eletto sarà bene che si impegni su questi argomenti. Il movimento dell’acqua ha regalato al pensiero di sinistra e alternativo una incredibile vittoria, ha creato un linguaggio, la cultura dei beni comuni, della partecipazione e dei diritti, ha rinnovato i richiami alla democrazia e alla Costituzione. Ha ricordato a coloro che si richiamano alla spiritualità oppure al materialismo, che nulla è più spirituale e nulla è più materialista delle materie: quelle naturali, quella degli elementi universali su cui si basa la vita di tutti. E che nulla come il loro possesso privato, la loro conquista, genera guerre, miseria e sofferenza umana. (Emilio Molinari, Blueprint e Ttip, l’acqua ai privati)
In poche parole: grazie all’attuale europa [il carattere minuscolo non è un refuso, ndr] noi Italiani dobbiamo accettare mostruosi aumenti della tassazione sulle nostre case, macellazione del welfare, pensioni da fame in età avanzatissima, liquidazione dei nostri diritti e continue diminuzioni salariali quando non giungono fallimenti, licenziamenti o cassintegrazione.
Se protestiamo arrivano manganellate e accuse di essere reazionari, xenofobi, populisti dai rigurgiti neonazisti. A breve, i nostri beni pubblici saranno svenduti e noi ri-trasformati in schiavi dei datori di lavoro. Se non è una prigione quella cui viviamo…
Per colmo di ironia, sono gli stessi creatori dell’EuroZona a denunciarla come trappola, prigione, lager. Tra questi il banchiere socialista sionista Jacques Attali, sostenitore di Gerusalemme quale capitale del Nuovo Ordine Mondiale, notorio per aver sbottato: «Ma cosa crede, la plebaglia europea: che l’euro l’abbiamo creato per la loro felicità?». Codesto individuo ha avuto l’arroganza di affermare:
Abbiamo minuziosamente “dimenticato” di includere l’articolo per uscire da Maastricht.. In primo luogo, tutti coloro, e io ho il privilegio di averne fatto parte, che hanno partecipato alla stesura delle prime bozze del Trattato di Maastricht, hanno…o meglio ci siamo incoraggiati a fare in modo che uscirne … sia impossibile
Non soddisfatto, il banchiere cabalista rincara la dose in un’intervista resa a “Il Mattino” dell’11 dicembre 2014. «Devo sottolineare che sono innanzitutto i trattati europei [Maastricht e Lisbona, ndr] che hanno firmato anche la Francia e l’Italia ad aver bacchettato i due Paesi». E minaccia i risparmiatori Italiani: «Il debito pubblico sarà inevitabilmente pagato dai risparmiatori. Sarà pagato con i loro risparmi»
Può sembrare surreale, ma sette anni fa, uno dei suoi intimi sodali del globalista francese, Giuliano Amato, aveva già rivelato quali furono le occulte e antidemocratiche modalità con cui venne scritto il Trattato di Lisbona, rendendolo di fatto illegittimo e incostituzionale:
Essi [i leader Europei] hanno deciso che il documento avrebbe dovuto essere illeggibile. Essendo illeggibile allora non sarebbe stato costituzionale […] Se fosse stato comprensibile, ci sarebbero state ragioni per sottoporlo a referendum, perché avrebbe significato che c’era qualcosa di nuovo [il riferimento qui è alla Costituzione Europea bocciata nel 2005, nda]. I primi ministri non produrranno niente direttamente perché si sentono più al sicuro con la cosa illeggibile. Essi possono presentarla meglio, in modo da EVITARE PERICOLOSI REFERENDUM. (Giuliano Amato, 12 luglio 2007, EuObserver)
Quindi, anche uno dei corifei più accesi dei cosiddetti Stati Uniti d’Europa, Giuliano Amato, è costretto ad ammettere che, senza dotare la BCE del potere di fungere da effettivo “prestatore di ultima istanza”, l’euro e la UE non potevano che fallire. La comunità europea attuale, lo ribadiamo noi, si è trasformata in un Eurolager flagellato – per l’ennesima volta – dalle SS Totenkopf.