Il nostro articolo Le Sturmtruppen Cammellate di Angela Merkel ha scatenato una pioggia di critiche. Saremmo stati esagerati a definire il regime Merkeliano come il Quarto Reich Tedesco.
Purtroppo, ancora più che la grancassa propagandista dei regimi fascisti del secolo scorso, è l’attuale informazione “libera” del mainstream dei media italiani a ricordare il “Völkischer Beobachter” di Adolf Hitler o “il Popolo d’Italia” di Benito Mussolini.
Il problema non è che la maggior parte dei giornalisti non ha compreso la verità. E’ che non hanno gli ATTRIBUTI necessari per dirla, questa verità, poiché rischiano il loro posto di lavoro.
Fortunatamente non vale per tutti. Tra questi pochi c’è Vittorio Feltri, il quale, in un editoriale su “il Giornale” intitolato “Buttateci fuori che poi ridiamo noi”, afferma:
La lettera minatoria che il presidente della Commissione europea, Barroso, ha inviato a Palazzo Chigi è la dimostrazione plastica che Bruxelles considera l’Italia una scolaretta negligente e, pertanto, ritiene lecito tirarle le orecchie e prenderla a bacchettate con disinvoltura. (…) Se la Germania e i suoi camerieri scodinzolanti non apprezzano la politica romana sono liberi sì di criticarci e, al limite, di buttarci fuori dal club burocratico in cui guazzano, ma non di recapitarci una missiva dai toni ultimativi, sgradevoli, maleducati e arroganti, degni del Quarto Reich, anzi del Terzo. Essi ci hanno invitato perentoriamente a rispondere entro 24 ore al loro diktat in cui si dice che la nostra manovra (legge di stabilità) fa praticamente ribrezzo ed è quindi necessario correggerla, altrimenti…
Altrimenti che? Cosa fate, ci cacciate? Provateci, fessacchiotti. Senza Italia nel mucchio selvaggio di 28 Paesi, in cerca di una unione fittizia, salterebbe per aria non solo la Ue, ma anche la moneta unica difesa con spocchia dagli affamatori del popolo, cioè banchieri, finanzieri e loro utili idioti, tra cui economisti da talk show. Ecco perché ci auguriamo che Matteo Renzi (costretti ad affidarci a lui, già siamo nelle sue mani, oddio in che mani siamo), attingendo una tantum all’aulico linguaggio di Beppe Grillo, e rivolgendosi a Barroso e complici, pronunci il classico vaffanculo. Quando ci vuole, ci vuole. Non ci vengano a dire lorsignori di Berlino e Bruxelles che se disubbidiamo agli ordini saremo commissariati, come se il nostro Paese fosse una colonia dei tognini. Manderanno in trasferta a Roma i commissari? Li accoglieremo nel migliore albergo. Va bene l’Excelsior di via Veneto? Ok. Qui rimpinzeremo gli ospiti di spaghetti all’amatriciana e di pizza e, l’indomani, li caricheremo sulle auto blu invendute rispedendoli a casa, oltre frontiera. Ce la siamo sempre cavata da soli nei momenti più tragici, compresi due dopoguerra mondiali e una tentata rivoluzione dei brigatisti rossi (indimenticabili quanto portentosi coglioni), vi pare che ci possano far tremare le ginocchia quattro contabili avvezzi a misurare la lunghezza degli zucchini e a disporre la distruzione delle arance siciliane? Andate all’inferno.
Ora un intervento illuminato del 1978 al Parlamento Italiano, quando esso era Sovrano ed esprimeva la volontà di un Popolo Sovrano e non l’attuale cassa di risonanza delle decisioni prese da un Governo di nominati e dal Capo dello Stato.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo tutti consapevoli, credo, del significato e della difficoltà di questo dibattito. E’ in gioco
una decisione importante, rispetto alla quale i pareri sono discordi, mentre vengono alla luce modi diversi di concepire lo sviluppo della Comunità europea e di intendere la presenza e il ruolo dell’Italia in seno alla Comunità. (…) Consideriamo non seria – mi si consenta di dirlo – la tendenza a liquidare come problema tecnico irrilevante quello di una attenta verifica dei contenuti della risoluzione di Bruxelles del 5 dicembre per valutarne la rispondenza alle concrete esigenze poste da parte italiana. Quello delle garanzie da conseguire affinché il nuovo sistema monetario possa avere successo, favorire un sostanziale riequilibrio all’interno della Comunità europea (e non sortire un effetto contrario), contribuire a una maggiore stabilità monetaria e ad un maggiore sviluppo su scala mondiale, è un rilevante problema politico. Le esigenze poste da parte italiana non riflettevano solo il nostro interesse nazionale: la preoccupazione espressa dai nostri negoziatori fu innanzitutto quella di dar vita a un sistema realistico e duraturo, in quanto – cito parole e concetti del ministro del tesoro e del governatore della Banca d’Italia – “Un suo insuccesso comporterebbe gravi ripercussioni sul funzionamento del sistema monetario internazionale, sull’avvenire e sulle possibilità di avanzamento della costruzione economica europea e sulle condizioni dei singoli paesi”. E come condizione perché il nuovo sistema risultasse realistico e duraturo si indicò uno sforzo volto a contemperare le esigenze di rigore che un sistema di cambi deve necessariamente avere con la realtà della Comunità, che presenta situazioni fortemente differenziate; e in modo particolare si sollecitò una flessibilità del sistema tale da accompagnare senza sussulti il cammino del rientro dell’Italia verso condizioni economiche generali e, più in particolare, verso condizioni di inflazione prossime a quelle dei paesi più forti. (…) Ma, ciononostante, le condizioni poste da parte itaiiana sono state in notevole misura disattese, e i rischi paventati e indicati dai nostri negoziatori e da tanti osservatori obiettivi, da tanti studiosi ed esperti, rimangono sostanzialmente in piedi. Così, per quel che riguarda gli accordi di cambio in senso stretto, si è teso quasi a far credere che si sia ottenuta una equilibrata distribuzione degli oneri di aggiustamento o, come si dice, una simmetria degli obblighi di intervento, tra paesi a moneta forte e paesi a moneta debole, in caso di allontanamento dai tassi di cambio iniziali e di avvicinamento al margine estremo di oscillazione consentito. Ma l’ulteriore alterazione nell’ultimo vertice di Bruxelles nella formula relativa a questo aspetto essenziale dell’accordo di cambio, quella sostituzione – che può apparire innocuamente bizantina dell’avverbio “eccezionalmente” con l’espressione “in presenza di circostanze speciali”, è stata solo la conferma di una sostanziale resistenza dei paesi a moneta più forte, della (…) Germania, e in modo particolare della banca centrale tedesca, ad assumere impegni effettivi ed a sostenere oneri adeguati per un maggiore equilibrio tra gli andamenti delle monete e delle economie di paesi della Comunità. E così venuto alla luce un equivoco di fondo, di cui le enunciazioni del consiglio di Brema sembravano promettere lo scioglimento in senso positivo e di cui, invece, l’accordo di Bruxelles ha ribadito la gravità: se cioè il nuovo sistema monetario debba contribuire a garantire un più intenso sviluppo dei paesi più deboli della Comunità, delle economie europee e dell’economia mondiale, o debba servire a garantire il paese a moneta più forte, ferma restando la politica non espansiva della Germania federale e spingendosi un paese come l’Italia alla deflazione. E ben strano, mi si consenta, che di questo rischio, così presente nelle dichiarazioni del rappresentante del Governo il 10 ottobre alla Camera e il 26 ottobre al Senato, non si parli più nel momento in cui si propone l’adesione immediata, alle attuali condizioni, dell’Italia al sistema monetario europeo. (…) La verità è che forse – come si è scritto fuori d’Italia – si è finito per mettere il carro di un accordo monetario davanti ai buoi di un accordo per le economie. Ed è invece proprio su questo terreno, oltre che su quello della revisione del meccanismo dei cambi in quanto tale, che occorreva continuare a premere, a discutere, a negoziare. Ma – ci si chiede – come: stando dentro o stando fuori? (…) E’ nostra convinzione che avremmo potuto esercitare una maggiore forza contrattuale mantenendo la nostra riserva, la nostra posizione di non ingresso immediato.
Chi, nel 1978 esprimeva dissenso e viva preoccupazione per una moneta europea e un’unione che avrebbe favorito solo le politiche deflazionistiche e mercantiliste della Germania (a quei tempi meno pericolosa di oggi, poiché non era stata ancora riunificata)? Incredibile a dirsi, era l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, divenuto il più tenace e fedele assertore dell’assoluta necessità dell’euro e degli accordi di Maastricht-Lisbona.
Magari non è un caso se l’indice di popolarità dell’ex presidente riconfermato, dopo aver raggiunto un entusiastico e plebiscitario zenith ad ottobre 2011, si fosse approssimato al nadir,
Dal 92 al 39%in tre anni. E’ la caduta dell’indice di popolarità del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano [a fine ottobre è calata di un altro punto, al 38%, ndr]. L’ultimo dato è quello delle rilevazioni del 17 settembre effettuate dall’istituto demoscopico Ixè per Agorà di Rai3. Nel giorno della sua seconda rielezione, il 20 aprile del 2013, secondo il sondaggio Swg sempre per Agorà, il gradimento del capo dello Stato era al 55%. L’inquilino del Quirinale ha quindi perso 16 punti percentuali, molti di più stando al sondaggio di Ipr marketing che a ottobre 2011 attestava il presidente al 92%.
Minimi storici confermati dal confronto con i primi sette anni al Colle di Napolitano. Un sondaggio di Ipsos, “Il bilancio del settennato del presidente Napolitano”, riporta gli indici di gradimento del Capo dello Stato prima della seconda elezione. La ricerca parte da ottobre 2006, con una fiducia al 79%. Stabili i due autunni successivi con il 78% e il 79%. A dicembre 2009 la fiducia è al 82%, quindi al 84% nell’ottobre 2010 per arrivare all’85% a ottobre 2011. Una rapida discesa a settembre 2012 che lo attesta al 74% di gradimento che sale di dieci punti percentuali alla fine del primo mandato, con l’84% di aprile 2013. Bastano pochi mesi perché Napolitano scenda di quesi trenta punti, a maggio del 2013 è al 55%.(fonte “il fatto Quotidiano”)
In evidente flessione c’è anche – fortunatamente per gli Italiani del ceto medio – il premier nominato Matteo Renzi. L’effetto #80euro è finito e ai lavoratori il Jobs Act, una legge che liquida e liquefa i diritti dei lavoratori e favorisce esclusivamente il datore di lavoro, non piace affatto.
Come ci spiega questo post, la «reputescion» di Renzi è in calo: 9 tweet su 10 sono negativi. Per chi ha puntato tutto su tweet e comunicazione in rete, è un autentico dramma. Inizia il meraviglioso final countdown per il Renzi premier:
La reputazione del presidente del consiglio Renzi sembra perdere colpi, almeno da quanto sembra emergere dal web: nell’ultimo mese l’89% dei tweet più retwittati sul premier ha carattere negativo, l’11% neutro e nessun commento è positivo. Questo secondo quanto emerge dai dati della ’“WebPolitics – Osservatorio permanente sui personaggi politici online” realizzata da Reputation Manager, principale istituto italiano nell’analisi e misurazione della reputazione online dei brand e delle figure di rilievo pubblico. Dal 1 settembre all’ 8 ottobre ci sono stati 188.916 tweet su Renzi, e gli argomenti più associati negativamente al suo nome nei tweet sono #pd (in 16.378 tweet), #articolo18 (8930), #M5S (8.615), #Berlusconi (6.947), #JobsAct (4331), #millegiorni (4321), #chetempochefa (4312), #direzionepd (4206), #lavoro (3326). Diminuisce anche la capacità di amplificazione del premier su Twitter: se nel mese precedente ogni suo tweet scatenava in media 13.717 retweet, nell’ultimo mese la quota è scesa 5.449. Nel merito delle sue decisioni politiche, l’aspetto che incide più di altri sul suo calo reputazionale è senz’altro la riforma del lavoro. (…)
Mentre il tragicomico film sul governo Renzi si avvia lentamente ma inesorabilmente all’atteso finale – la dissoluzione del renzismo – prima che si dipanino i titoli di coda, torniamo al vulnus, al vero problema italiano: l’adesione all’euro.
Come dichiara giustamente il Prof. Alberto Bagnai in questa intervista a Marcello Foa, “l’Eurozona è un allucinato e psicotico delirio” che “provoca solo oppressione e disperazione”
Non siamo solo noi a definire quello merkeliano come il Quarto Reich. Persino la stampa tedesca (in questo caso, “Der Spiegel”) paragona la Kanzlerin massona Angela Merkel ad Adolf Hitler:
Il titolo della copertina mette subito in chiaro le cose: “La superpotenza tedesca“. Il settimanale che esce un paio di giorni prima della storica visita del primo ministro greco Tsipras a Berlino è destinato a creare molte polemiche. Nel reportage si parla provocatoriamente anche di “Quarto Reich”: “In alcuni paesi partner fioriscono paragoni con i nazisti – scrive il magazine – La Germania è ancora vista come Übermacht”. Inoltre lo Spiegel torna sulla richiesta del pagamento delle riparazioni della Seconda Guerra Mondiale a cui ha accennato più volte il leader ellenico. Secondo i dati che circolano ad Atene la cifra ammonterebbe a 162 miliardi di euro, circa la metà della enorme debito del paese. (Articolo di Mario Valenza, ilgiornale.it)
Al Quarto Reich Merkeliano non servono più Panzerdivisionen o Stukas per appropriarsi dei beni e della libertà degli altri Paesi Europei. Ai Merkeliani e ai loro camerieri – per apportare fame, disperazione e morte – basta l’Euro.
EPILOGO CHE E’ IL PROLOGO
Abbiamo esagerato a definirci oppressi e colonizzati dal Quarto Reich tedesco?
Dalla nomina di Mario Monti ad oggi, è stato distrutto un quarto della capacità produttiva italiana, i redditi degli Italiani sono tornati indietro di 30 anni, le compravendite immobiliari sono meno della metà del 2006, ci sono due milioni di disoccupati in più e i poveri assoluti sono saliti a quasi sette milioni.
Solo in Grecia, Burkina Faso, Corea del Nord, Ucraina e Siria si respira un’aria di morte e disperazione più acre e pesante che in Italia. E’ un’economia di guerra, senza alcuna prospettiva di crescita, tanto che persino il ministro Pier Carlo Padoan ha dovuto ammettere che stiamo peggio che nel 1929 (che riflessi, il Nobel Paul Krugman lo scriveva più di due anni fa…).
Se a tutto ciò aggiungiamo le decine di migliaia di suicidi in tutta l’Europa Meridionale, i milioni di fallimenti di piccole e medie imprese e il fatto che in Grecia, grazie alle misure draconiane imposte dalla Merkel, si diffondono nuovamente malaria e tubercolosi, ecco che il cerchio si chiude: l’euro ci sta colpendo più velocemente e più a fondo della Luftwaffe.